Napoli - Sono stati scarcerati perché ritenuti «scafisti occasionali». E perché (forse) costretti con le minacce da presunti trafficanti di esseri umani a mantenere la rotta verso l'Italia. Si tratta di due migranti del Nord Africa, arrestati dalla polizia il mese scorso dopo le operazioni di sbarco di 230 persone nel porto di Pozzallo. Il Tribunale del riesame di Catania, accogliendo le richieste degli avvocati difensori, ne ha disposto la liberazione immediata con la sola prescrizione di presentarsi, presso la caserma dei carabinieri, due volte a settimana. Ora entrambi si trovano nel «Cara» di Mineo, a spese ovviamente dello Stato. Per i giudici (presidente Maria Grazia Vagliasindi, a latere Paolo Corda e Claudia Ferlito), erano senza ombra di dubbio al timone delle due bagnarole soccorse dalla nave «Dignity I» al largo del Canale di Sicilia, il 14 novembre, ma questo non preclude il diritto a tutte le attenuanti del caso perché non c'è prova che lo facciano per mestiere. Che siano, insomma, degli schiavisti di professione.
Eppure, gli investigatori che li avevano ammanettati e condotti in cella, avevano preliminarmente raccolto dai migranti dichiarazioni e riconoscimenti univoci sul ruolo svolto dai due a bordo dei gommoni. Tutti quelli interrogati avevano confermato. Per il Riesame, però, è stata prevalente la tesi difensiva dei due scafisti che hanno giurato di essere stati minacciati da un gruppo di non meglio identificati libici e indotti a vestire i panni dei cattivi. Insomma, altro che aguzzini: sarebbero loro le vittime. Minacciati e scrivono i magistrati - «obbligati» a governare le imbarcazioni tra le onde per non subire rappresaglie. Agli atti, almeno tra quelli che è possibile conoscere col procedimento ancora in corso, non ci sono informative o segnalazioni della polizia giudiziaria in grado di avallare questa ricostruzione. È la parola degli «scafisti» contro quella dei testimoni oculari che li hanno visto all'opera a bordo.
Le toghe, pur ravvisando i gravi indizi di colpevolezza, hanno sottolineato comunque l'«evidenza obiettiva della natura di scafista occasionale obbligato» che «per perseguire il suo scopo personale di raggiungere il territorio italiano come clandestino, ha favorito l'immigrazione clandestina anche di terzi». E, quindi, li hanno fatti tornare a piede libero.
Secondo la versione dei fatti offerta senza riscontro dai due indagati, inoltre, la presunta organizzazione libica li avrebbe da un lato minacciati con le armi ma dall'altro avrebbe loro riconosciuto pure un piccolo «sconto» sul costo del biglietto per l'Italia in cambio della disponibilità a guidare i gommoni verso il nostro Paese. Una tesi assai originale da parte di trafficanti senza scrupoli che si sarebbero però dimostrati invece assai attenti alla forma.
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