Scandali sessuali, quarto suicidio

Si toglie la vita la ex manager dell'attrice che ha accusato Weinstein

Scandali sessuali, quarto suicidio

E quattro. Il terremoto generato dallo scandalo Weinstein e dal movimento #metoo, nato per denunciare molestie e violenze quotidiane subite dalle donne nel mondo, conta da ieri una nuova imputata-suicida, la quarta. E per la prima volta una donna. Jill Messick, la ex manager dell'attrice Rose McGowan, si è tolta la vita all'età di cinquant'anni, a Los Angeles. Soffriva di disturbo bipolare, momenti di esaltazione alternati alla depressione. Ma a far traboccare il vaso - denuncia la famiglia - sarebbe stato il mix di notorietà indesiderata (era abituata a trattare con i vip ma a essere per lo più sconosciuta al pubblico) e di accuse feroci alle quali la manager non ha voluto rispondere per non tuffarsi nel tritacarne mediatico e per non «danneggiare» il movimento. Jill Messick era infatti la producer per la Miramax di Rose McGowan nel 1997, quando l'attrice - come ha denunciato anche nel suo ultimo libro Brave - sarebbe stata stuprata dal produttore statunitense al Sundance Film Festival proprio dopo un incontro fissato dalla sua manager. Messick pare non fosse a conoscenza della violenza ma avesse intuito che qualcosa era andato storto in quell'incontro e lo avesse fatto presente alla sua agenzia. Nonostante ciò, McGowan in una recente intervista non l'aveva risparmiata, stigmatizzando il fatto che la produttrice avesse lavorato con Weinstein per i sette anni successivi. Due versioni diverse dei fatti. Una pubblica, data in pasto ai giornali e mediaticamente esplosiva, l'altra invece rimasta per lo più nell'ombra per evitare i contraccolpi di una sgradita sovraesposizione.

Ed è per questo che il suicidio di Messick è la perfetta rappresentazione di uno dei più dirompenti effetti collaterali del movimento #metoo. Perché laddove non è arrivato un tribunale, è arrivata la pubblica accusa e l'insopportabile senso di vergogna. Senza che la vittima cercasse nemmeno difesa. E senza che, in questo caso, fosse direttamente responsabile, ma additata invece per complicità. Una storia diversa dagli altri suicidi che hanno coinvolto i presunti orchi nel ruolo di predatori sessuali.

Nel Regno Unito i suicidi eccellenti registrati per le denunce di molestie sono a quota due. Prima Carl Sargeant, ministro del governo del Galles sospeso dal partito per «una serie di incidenti in cui c'erano donne coinvolte». Solo dopo la sua morte si scopre che le accuse riguardano «attenzioni indesiderate e palpeggiamenti». Due settimane dopo è la volta di un trentenne, di cui non si è mai fatto il nome, membro del team del Partito laburista a Londra. Pare abbia usato il programma Photoshop per inserire facce di persone conosciute su corpi di pornostar.

Infine gli Stati Uniti. Ancora la politica. E di nuovo accuse che non hanno fatto in tempo ad approdare in tribunale.

Dan Johnson, pastore evangelico e deputato repubblicano dell'Assemblea del Kentucky, presunto orco di uno stupro avvenuto nel 2013. Si è sparato un colpo alla testa. Anche stavolta non c'è stato il tempo di formulare alcuna accusa formale. La vergogna lo ha ucciso prima.

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