Ammiratrice dichiarata di Donald Trump, Theresa May ha ritenuto di poter seguire le sue orme anche per quanto riguarda il tratto più distintivo della sua leadership in queste convulse settimane: l'incoerenza. Così, se il presidente degli Stati Uniti ha potuto disinvoltamente smentire se stesso sull'interventismo americano nel mondo, sulla guerra commerciale da lanciare alla Cina, sui rapporti preferenziali con la Russia di Putin e sull'obsolescenza della Nato, la premier britannica ha deciso di rimangiarsi una delle dichiarazioni programmatiche di cui sembrava più convinta: il «no» categorico alle elezioni anticipate in nome della stabilità politica.
La scelta di contraddirsi chiamando alle urne i sudditi di Sua Maestà il prossimo 8 giugno ha uno scopo prioritario evidente, quello di assicurare al suo governo più comodi margini di manovra in Parlamento sul tema cruciale della gestione della Brexit. La May si fa forte di sondaggi molto incoraggianti, che attribuiscono al suo partito conservatore margini di vantaggio larghissimi sui suoi concorrenti, i quali attraversano una fase di debolezza senza precedenti: i laburisti perché guidati da un personaggio, Jeremy Corbyn, che incarna un'ala talmente massimalista da porsi fuori dalle dinamiche realistiche dell'attualità politica (in parole semplici: è troppo a sinistra e non può sperare di vincere), i liberali perché stremati dalla catastrofe elettorale delle ultime legislative che li ha quasi azzerati, e gli indipendentisti dell'Ukip perché paradossalmente fuori dal gioco dopo aver conseguito con la vittoria referendaria di un anno fa l'unico obiettivo che avessero nel mirino: tanto che il loro leader Nigel Farage ha lasciato la politica.
Probabilmente la premier conservatrice, che si è assunta il ruolo di attuatrice senza annacquamento alcuno del mandato popolare per l'uscita del Regno Unito dall'Ue, calcola anche che accelerando i tempi delle elezioni minimizzerà il rischio di trovarsi tra i piedi un nuovo partito europeista, magari reso efficiente dall'annunciato impegno in tal senso dell'ex premier laburista Tony Blair. È un fatto che queste elezioni anticipate potranno offrire un'opportunità anche ai sostenitori dell'Europa, e da Bruxelles sono infatti già arrivate (per esempio dal liberale Guy Verhofstadt) esortazioni a trasformare il voto dell'8 giugno in una sorta di controreferendum sulla Brexit.
Un caso a parte è rappresentato dagli indipendentisti scozzesi. La leader dell'Snp nonché premier di Edimburgo Nicola Sturgeon ha già accusato Theresa May di puntare con le elezioni anticipate a una svolta a destra e ad una «hard Brexit», cioè a una «uscita dura» del Regno Unito dall'Europa. Tutto il contrario di ciò che auspica la lady di ferro di Edimburgo, il cui obiettivo è la permanenza di una Scozia indipendente nell'Unione Europea. La Sturgeon si è detta convinta (ma chissà se lo pensa davvero) che la May abbia fatto «un grave errore di calcolo» ad anticipare le elezioni di ben tre anni.
E lamenta soprattutto che a Westminster facciano orecchie da mercante rispetto alla sua pressante richiesta di concedere un secondo referendum sulla secessione della Scozia dal Regno Unito, dopo quello già tenuto (e da lei perduto, anche se con onore) nel settembre 2014.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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