Scontro armato Renzi-Grasso. Il Pd scopre il museo degli orrori

La sfida del premier: o passa la riforma o dopo le elezioni trasformo il Senato in un'attrazione turistica. L'ira del presidente: "La politica rispetti le istituzioni"

Scontro armato Renzi-Grasso. Il Pd scopre il museo degli orrori

Roma - Da sorda, ieri la guerra tra Palazzo Chigi e Palazzo Madama è diventata aperta.

Matteo Renzi e Pietro Grasso si scambiano colpi a distanza. «Se il presidente del Senato deciderà per l'emendabilità dell'articolo 2 ascolteremo le sue motivazioni e decideremo di conseguenza», avverte in mattinata il premier, rispondendo a chi gli domanda se, in quel caso, il governo proporrà l'abolizione tout court del Senato. Grasso replica con una bordata: «Coltivo la remota speranza che la politica, chiamata a scelte fondamentali, si mostri capace di confronto leale e comprensione reciproca, piuttosto che far trapelare che si possa fare a meno delle istituzioni relegandole in un museo».

Il riferimento al «museo» è dovuto alle frasi, riportate dai retroscena di ieri, che Renzi avrebbe detto ai capigruppo di maggioranza, il cui succo era chiaro: se salta l'articolo 2 e quindi le riforme salta il governo e si va a votare. «E poi facciamo una riforma con un solo articolo: il Senato è abolito». Secondo alcune versioni, il premier avrebbe aggiunto «e a Palazzo Madama ci facciamo un museo», ma Palazzo Chigi aveva seccamente smentito la «frase volgare e mai pronunciata». Grasso però la cita lo stesso.

La tensione, tra governo e presidenza del Senato, sale da giorni. «Da che esiste la democrazia parlamentare comunicare con governo e maggioranza, oltre che con l'opposizione, sulle scelte importanti è uno dei compiti dei presidenti delle Camere», spiega un esponente Pd, «e invece Grasso, ostaggio dell'alta burocrazia di Palazzo Madama che non vuole la riforma, non risponde neppure alle telefonate di Zanda o della Finocchiaro. Un gesto di maleducazione, oltre che di goffaggine istituzionale». Il presidente del Senato ha nelle mani lo snodo decisivo della riforma, la riapertura o meno dell'articolo 2 agli emendamenti sull'elettività dei senatori, e si rifiuta di anticipare ad anima viva le sue decisioni, tenendo appesi Pd, governo e maggioranza. «Nonostante sappia bene che, se decide di non ammettere gli emendamenti all'articolo 2, l'accordo su tutte le modifiche possibili si trova in un attimo, anche dentro il Pd», si lamenta da giorni il premier. Che ormai ha la certezza di avere i voti per far approvare in tutta serenità la riforma costituzionale: «Veleggiamo attorno ai 170, anche senza gli ultrà della minoranza interna», assicura chi se ne intende: una decina in più della maggioranza assoluta. Ma se Grasso esporrà l'articolo 2 al fuoco di fila degli emendamenti, la situazione diventerà incontrollabile. Per questo Renzi ha deciso di alzare i toni e fargli capire due cose: primo, che se lo facesse scatenerà uno tsunami politico senza precedenti e, secondo, che non ne guadagnerà nulla per se stesso. Altro che “governi istituzionali” da lui presieduti: «Dopo questo governo c'è solo il voto», ribadisce Renzi. E lo dirà anche nella relazione alla direzione del Pd di lunedì.

Ma ieri l'agenda di Renzi prevedeva un importante incontro. Prima ha sorvolato le aree alluvionate del Piacentino in elicottero, poi, alle 20, ha incontrato a Modena il presidente francese François Hollande.

Una breve conferenza stampa a Palazzo Ducale che aveva come tema principale il nulla («nelle prossime ore discuteremo per affermare insieme un'idea di Europa in cui tutti facciano la loro parte») e poi via a cena dallo chef pluristellato Massimo Bottura nella sua Osteria Francescana (300 euro minimo a persona). Un governo nel segno della sobrietà.

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