Se anche il prof da record fa il piagnisteo sulla paga

Il docente candidato al Nobel per l'insegnamento ha scritto al presidente Renzi. Un'occasione perduta. Ecco perché

Se anche il prof da record fa il piagnisteo sulla paga

Un'iniziativa della Varkey Gems Foundation, una realtà finanziata da un colosso dell'istruzione privata presente in dieci Paesi e che educa circa 150 mila ragazzi, ha di recente acceso i riflettori sulla scuola, lanciando una sorta di premio Nobel per il migliore insegnante. Dopo la selezione dei primi 50 l'Italia ha avuto più di un motivo di essere soddisfatta, dato che su nove europei selezionati ben due sono italiani.

Uno di loro - Daniele Manni, di Lecce - nelle scorse ore ha inviato una lettera aperta al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, con l'esplicito scopo di sfruttare questo quarto d'ora di celebrità per richiamare l'attenzione su tale settore tanto importante per il futuro della società. Purtroppo, però, il contenuto delle richieste appare deludente.

I problemi della nostra scuola sono molti, ma i principali sono riconducibili a una gestione quasi interamente statale, e quindi burocratica, deresponsabilizzata, «fuori mercato». Non c'è pluralismo, dato che i programmi sono fissati dallo Stato e la maggior parte degli istituti è controllata dalla mano pubblica. Ma senza libertà nell'insegnamento e senza concorrenza è difficile che si possa avere un'educazione di qualità.

Di fronte a questo quadro, il professore pugliese si è limitato a chiedere - molto genericamente - «iniziative concrete atte a valorizzare la professione», esigendo soprattutto uno stipendio più dignitoso. E se questo delle basse retribuzioni è indubbiamente un problema serio, porlo in termini tanto vaghi lascia intendere che non si è colto dove stia la radice della questione. Perché, in particolare, non si può parlare di scuola senza fare riferimento al fatto che i nostri insegnanti sono troppi e che la recente legge di stabilità del 2015 ha pure messo a disposizione risorse per avviare l'entrata in ruolo di circa altri 150 mila precari. Già adesso in Italia vi sono 12 studenti per insegnante (riferendosi a elementari e medie), mentre nei paesi Ocse la media è di 15 studenti. Per giunta si è arrivati a questo risultato - qualche anno fa il rapporto era anche peggiore - dopo un blocco che ha impedito il ricambio dei docenti andati in pensione, con la conseguenza che i nostri insegnanti rimangono tantissimi e per di più sono d'età media avanzata: sono troppi e troppo vecchi. È mancato quel salutare ricambio che aiuta il sistema educativo ad adattarsi ai tempi nuovi.

Con un numero tanto elevato di docenti, è assurdo immaginarsi buone retribuzioni; e in assenza di stipendi attraenti ben pochi giovani di qualità sceglieranno di orientarsi verso questa professione.

Come mai di tutto ciò nella lettera non si fa cenno? La cosa non è sorprendente, dato che gli insegnanti italiani sono tra i più ideologizzati e i più avversi alle logiche del merito. Questo spiega anche perché, nelle scorse settimane, l'ipotesi di rafforzare i meccanismi volti a differenziare le retribuzioni è stata bloccata dall'opposizione dei sindacati di settore, che in questo caso hanno interpretato bene lo spirito della categoria che rappresentano.

Ovviamente nessuno può attendersi che i nostri insegnanti, da un giorno all'altro, scoprano le virtù del libero mercato e diventino in massa favorevoli a strumenti come il buono-scuola o il credito d'imposta. Se però si guardassero un poco attorno scoprirebbero che la stessa amministrazione di Barack Obama ha promosso lo sviluppo delle «charter schools», spezzoni di realtà pubblica che acquisiscono una propria autonomia: sia sul piano dei programmi sia su quello della gestione.

La scuola italiana può migliorare, ma per farlo ha bisogno di spazi di libertà e responsabilità: di non essere uniformata, con programmi identici ovunque provenienti dal ministero, e stipendi appiattiti che non discriminano tra chi lavora di più e chi lavora meno,

tra chi insegna meglio e chi insegna peggio. Sarebbe bene che i nostri docenti d'eccellenza scoprissero questa semplice realtà e, partendo da qui, spingessero il ceto politico a un generale rinnovamento di tutto il settore.

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