Trattati peggio della Grecia. Mentre Atene ottiene dall'Eurogruppo una nuova boccata d'ossigeno, l'ennesima per non soccombere, Bruxelles maltratta l'Italia con una posizione piuttosto rigida sulla manovra aggiuntiva di 3,4 miliardi che il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan sarà costretto a varare per rientrare nei parametri europei. E tutto ciò a dispetto dell'alibi, che alibi non è, delle tante spese aggiuntive per la ricostruzione nelle aree colpite dal sisma del 2016. La correzione dovrà essere fatta a stretto giro di posta: ci è stato concessa solo qualche settimana di tempo in più. Eppure anche qualche giorno fa, a differenza di quanto scritto correttamente dal Giornale, altri quotidiani, a cominciare dal Corriere, sostenevano che la Ue ci avrebbe fatto lo sconto, solo 2,5 miliardi, grazie agli ultimi dati incoraggianti sulla crescita del nostro Prodotto interno lordo. E il ritocco di primavera, magari con l'ennesimo ricorso agli aumenti delle accise su benzina e sigarette, nonostante le smentite, è solo un antipasto della manovra vera e propria, più di 11 miliardi di euro, che dovrà essere poi attuata in autunno con la legge di bilancio per il 2018, un'operazione su cui, peraltro, graverà l'incognita delle elezioni politiche anticipate. Il nostro, insomma, non sarà un pianto greco, ma poco ci manca e anche la stessa Confindustria adesso mette le mani avanti sulla crescita sottolineando che siamo diventati il fanalino di coda dell'Europa. Anche per questi possibili scenari, a Bruxelles dovranno ricordarsi bene cosa è successo proprio ad Atene. Dopo avere ammesso, infatti, la Grecia nell'area euro senza tenere nel debito conto i suoi problemi strutturali, gli eurocrati hanno poi ignorato per anni il «grido di dolore» che arrivava dall'Egeo e si sono mossi in soccorso quando, ormai, era troppo tardi: il quasi default ellenico è già costato la bellezza di 240 miliardi a cui si sono aggiunti altri 85 miliardi. Ora si continua a trattare su una parte dell'ultima tranche e ci sarà, in questi giorni, una missione ad Atene della «troika» dei creditori internazionali per definire gli ultimi dettagli dell'accordo con Tsipras. A questo punto, la domanda che dobbiamo cominciare a porci è: se il salvataggio in corso al di là dell'Adriatico è costato così tanto, cosa provocherebbe la bomba, tocchiamo ferro, di un eventuale crac italiano? Basta solo un dato per comprendere quali siano le giuste proporzioni tra i due casi: l'export dell'intero Peloponneso è uguale, grosso modo, a quello raggiunto dal nostro Veneto. È vero, la nostra posizione non è certo paragonabile a quella greca, ma oggi siamo, comunque, assieme al Portogallo, il Paese messo peggio sul piano economico nel club europeo. E, allora, sarebbe molto importante che, dopo tanti anni di politica miope e dissennata, la Ue cambiasse finalmente rotta. Al riguardo, vorrei anche sapere quale sia l'opinione di Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, costretto a sobbarcarsi sulle spalle gran parte degli errori di Bruxelles.
Un fatto è certo: la crisi greca dimostra come con le manovre «lacrime e sangue» si vada poco lontano: oggi ci siamo perfettamente resi conto come la linea dell'austerità ad ogni costo, tenuta soprattutto dalla Germania, si sia rivelata un «boomerang» per tutti. Se, oggi, anche Angela Merkel, l'inflessibile custode dello Sturm und Drang, sta cominciando a cambiare parere sull'argomento, è davvero giunto il momento di voltare pagina in Europa.
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