"Se perdo mollo", "Vedremo". Tutte le giravolte di Matteo per restare premier ombra

Dopo l'addio, la retromarcia. Le contraddizioni smascherano il suo piano: controllare Palazzo Chigi

"Se perdo mollo", "Vedremo". Tutte le giravolte di Matteo per restare premier ombra

L'ha sempre fatto e lo fa ancora. Sin dai tempi della Provincia di Firenze, quando usò tutti i suoi mezzi per fare della macchina amministrativa, la sua agenzia di pubblicità. Quando, 34enne, prese il Comune di Firenze, tradendo tutti quelli che lo avevano cresciuto politicamente sino a quel momento. E ora, quasi 42enne, già presidente del Consiglio, anche se gli italiani domenica scorsa gli hanno fatto pervenire una raccomandata senza ricevuta di ritorno nella quale scrivono «non ti sopportiamo più», non smette di fare il gradasso e di dire bugie.

Certo, la facciata è quella che abbiamo visto domenica sera, a mezzanotte e un quarto, dopo che i risultati davano già come vincente il No, di un uomo umiliato e ferito, che dice che «la poltrona che salta è la mia», che si prende «tutte le responsabilità», che dice di mantenere una promessa, la prima della sua vita: «Mi dimetto». Lo ha detto a più riprese in questo anno, beccandosi anche del bischero dai suoi, visto che proprio la personalizzazione del referendum potrebbe aver condotto alla sua sconfitta. Lo ha detto, salvo poi rimangiarsi la parola negli ultimi tempi, quando i sondaggi lo vedono già al tappeto: «Vedremo dopo il voto». Lo ha fatto davvero e domenica pomeriggio già preparava il discorsetto da pronunciare a urne chiuse. Questa è la facciata. Ma sotto c'è ancora Renzi, il capo spietato che ha ribaltato il suo addetto stampa Sensi, la madrina Boschi e il fido Lotti (che pensa già a ripartire da quel 40%, come se fosse suo), a suon di urla e improperi. Il giorno dopo il sole sorgeva ancora, ma non per lui. Sale al Quirinale e si dimette, è aperta la crisi di governo, ma da quel momento ripartono i magheggi alla Renzi per tenere le fila di un ipotetico governo con Gentiloni, di cui sarebbe lui il premier ombra. E le solite bugie in diretta tv. Anche quella di fingere di andarsene, per cercare di restare ancora fino al 2018. Dice di voler lasciare, ma pensa il contrario e studia le tattiche per riuscirci. Dice di lasciare la politica per sempre, ma poi assicura che il partito non lo molla, e già tre giorni dopo il voto si presenta, senza cravatta e senza i toni sommessi di domenica, alla direzione del Pd dicendo che «noi non abbiamo paura di niente e di nessuno».

L'ultima carta giocata dal premier dimissionario è quella di un «governo di responsabilità nazionale» che abbia il sostegno di tutti i partiti e che suona come una mossa tattica per prendere tempo.

Ecco un anno di menzogne, smentite e giravolte da gennaio 2016 quando definì la riforma costituzionale come «la madre di tutte le battaglie» fino all'altro ieri, quando paventa la possibilità di restare ancora alla guida del Paese.

29 dicembre 2015 - Conferenza stampa di fine anno: «Se perdo il referendum considero fallita la mia esperienza politica».

10 gennaio 2016 - Tg1: «Non sono un politico vecchia maniera che resta attaccato alla poltrona: io penso che si faccia politica per seguire un ideale. Io sono pronto ad assumermi le mie responsabilità».

20 gennaio - Aula del Senato: «Ripeto qui: se perdessi il referendum considererei conclusa la mia esperienza perché credo profondamente nel valore della dignità della cosa pubblica».

25 gennaio - Quinta Colonna: «Io non sono come gli altri, non posso restare aggrappato alla politica. Se gli italiani diranno No, prendo la borsettina e torno a casa».

12 marzo - Scuola di formazione del Pd: «Se perdiamo il referendum è doveroso trarne conseguenze, è sacrosanto non solo che il governo vada a casa ma che io consideri terminata la mia esperienza politica».

20 marzo - Congresso dei Giovani Democratici: «Io ho già la mia clessidra girata. Se mi va come spero, finisco tra meno di 7 anni. Se mi va male, se perdo la sfida della credibilità o il referendum del 2016, vado via subito e non mi vedete più».

28 aprile - #matteorisponde: «Se il referendum vedrà sconfitto il Sì, trarrò le conseguenze. So da dove vengo e so che la politica è servizio».

2 maggio - Ansa: «La rottamazione non vale solo quando si voleva noi. Se non riesco vado a casa».

4 maggio - Rtl 102.5: «Non sono come i vecchi politici che si mettono il vinavil e che invece di lavorare restano attaccati alla poltrone».

8 maggio - Che tempo che fa: «Se io perdo, con che faccia rimango? Ma non è che vado a casa, smetto di fare politica».

11 maggio - Ansa: «Se perdo, non finisce solo il governo ma finisce la mia carriera come politico e vado a fare altro».

21 maggio - L'Eco di Bergamo: «Se lo vinciamo, l'Italia diventerà un Paese più stabile. Se lo perdiamo, vado a casa. Non resto aggrappato alla poltrona».

22 maggio - In mezz'ora: «Se il referendum dovesse andare male non continueremmo il nostro progetto politico. Il nostro piano B è che verranno altri e noi andremo via».

22 maggio - Ansa: «Io ho preso l'impegno di cambiare questo Paese ed è giusto che, se non lo mantengo, vada a casa».

21 agosto - Versiliana: «Si vota nel 2018». Comunque vada il referendum? «Sì, si vota nel 2018».

15 settembre - Festa de L'Unità di Bologna: «A casa ci vado volentieri, ma resto al governo finché ho la fiducia del Parlamento».

26 settembre - Consiglio dei ministri: «Si voterà il 4 dicembre. La partita è adesso e non tornerà. Non ci sarà un'altra occasione».

14 novembre - Rmc: «Io di restare a vivacchiare e galleggiare non sono adatto. Cosa significa? Lo vedremo il 5 dicembre. A quelli a cui sto sulle scatole dico che quello del 4 dicembre non è un voto sulla mia simpatia ma sul Paese. Vi rendete conto che c'è chi vota no per farmi un dispetto?».

17 novembre - Ansa: «Io non posso essere quello che si mette d'accordo con gli altri partiti per fare un governo di scopo o un governicchio».

20 novembre - L'Unione Sarda: «È molto semplice: se perdo il referendum, questo governo cade».

19 novembre A Matera per una manifestazione a sostegno del Sì: «In questo referendum vediamo che c'è un'accozzaglia di tutti contro una sola persona. Berlusconi e Travaglio si amavano a loro insaputa».

28 novembre - Mattino Cinque: «Qui non c'è scritto cosa pensate del governo, se è simpatico o no Renzi. Quello che accadrà dopo lo vedremo dopo».

28 novembre - Conferenza stampa con Pier Carlo Padoan: «State tranquilli. Il governo c'è sempre, politico o tecnico, super politico, iper tecnico».

30 novembre - Palaindoor di Ancona: «Non vi aspettate che io diventi come gli altri. Io non galleggerò dalla mattina alla sera, non sono quello che fa accordicchi alle spalle dei cittadini».

30 novembre - Adnkronos: «Io preferirei non ci fosse da lunedì mattina un governo tecnico, ma se gli italiani non vogliono le riforme bisogna prendere atto di questo. Io non sono come gli altri, aggrappato alla poltrona. Sto in politica se posso cambiare il Paese».

30 novembre - Matrix: «Sono un boy scout, non voglio diventare come gli altri. Il mio lavoro è per cambiare il Paese. Se vogliono un bell'inciucione se lo fanno da soli».

30 novembre - Repubblica tv: «Domenica non si vota su di me. Che ci siano delle conseguenze è un altro discorso. Ho sbagliato nell'eccesso di personalizzazione. Errare è umano, ma perseverare sarebbe diabolico. Io faccio al massimo un altro giro. Se poi gli italiani dicono no, preparo i pop corn per vedere in tv i dibattiti sulla casta».

1° dicembre - Mattino Cinque: «Penso che l'Italia abbia bisogno di essere governata, accompagnata, presa per mano e portata nel futuro».

4 dicembre A Palazzo Chigi: «Ho perso e mi dimetto. Mi assumo le responsabilità della sconfitta. Il governo finisce qui. Mi sono battuto per diminuire le poltrone della politica, ma non sono stato convincente: e la poltrona che salta è la mia. Sono pronto a passare al mio successore, chiunque sia, l'elenco delle cose fatte e da fare».

6 dicembre Confidential: «Mi prendo un anno sabbatico e faccio un viaggio con Agnese. Abbandono tutto. Ma ho degli impegni nei concorsi dell'Italia e gli amici del Pd non me lo permetterebbero».

7 dicembre enews: «Non sono io a decidere ma devono essere i partiti, tutti i partiti, ad assumersi le proprie responsabilità. Il punto non è cosa vuole il presidente uscente, ma cosa proporne il Parlamento. Toccherà ai gruppi parlamentari decidere che cosa fare. Vorranno andare subito a elezioni? Nel caso si dovrà attendere la sentenza della Consulta sull'Italicum del 24 gennaio. Oppure un governo di responsabilità nazionale con una maggioranza larga fino alla fine della legislatura».

7 dicembre enews: «Io sono pronto a cedere il campanello al mio successore. Stiamo scrivendo un dettagliato report da consegnare e stiamo facendo gli scatoloni. Ora però un passo alla volta: è già tempo di rimettersi in cammino. Gli oltre 13 milioni di voti raccolti sono stati insufficienti a farci vincere».

7 dicembre Direzione del Pd: «Siamo il partito di maggioranza relativa. Dobbiamo dare una mano al presidente della Repubblica a risolvere la crisi. Noi non abbiamo paura di niente e nessuno, se gli altri vogliono andare a votare, dopo la sentenza della Consulta, lo dicano perché qui si tratta tutti di assumersi la responsabilità. Il Pd non ha paura della democrazia e dei voti».

7 dicembre Direzione del Pd: «Se i gruppi vorranno andare avanti con questa legislatura, dovranno indicare la propria disponibilità a sostenere un nuovo governo che

affronti la legge elettorale ma soprattutto un 2017 molto importante a livello internazionale. Qui non ci sono scelte scodellate, si decide insieme».

8 dicembre Confidential: «Renzi bis? Solo se me lo chiedono Grillo e Salvini».

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