Il referendum come prova generale del partito della Nazione. Renzi lancia da Bergamo, ex roccaforte di centrodestra, la caccia all'elettorato extra-Pd per far vincere il «Sì» alla riforma costituzionale e a se stesso («Se lo perdo vado a casa, non siamo la Casta aggrappata alle poltrone»). Sulle note di Patti Smith (People have the power, le persone hanno il potere), scelta come colonna sonora della campagna referendaria che vedrà a breve «un documento di oltre 100 «costituzionalisti» reclutati dal governo per spiegare la bontà della riforma, Renzi è concentrato come sulla sua partita decisiva, molto più delle Amministrative che - in caso di sconfitta - il premier è pronto a derubricare come fallimenti solo locali.
Ma per trionfare al referendum di ottobre e trasformarlo in un plebiscito per il governo i voti del Pd non bastano. Per questo serve - spiega il premier sul palco del Teatro sociale - un «capillare porta a porta» per «andare a cercare gli elettori del M5S, della Lega, di Forza Italia, quelli che non mi voterebbero neanche sotto tortura». Molti di loro, è convinto Renzi, «voteranno per il Sì, se gli spieghiamo cos'è questa riforma, e che i loro partiti» impegnati per il «No» «non difendono i loro ideali ma soltanto la poltrona, come si dice poltrona in bergamasco?». «Scagnaaa!» gli risponde il teatro. Poco prima un contestatore in un palco gli aveva urlato «Basta con la politica spettacolo!» (subito portato via dalla sicurezza), mentre fuori dal teatro la polizia respinge un corteo di centri sociali tra fumogeni e cori contro il governo. «Non ci farete perdere il buonumore e il sorriso» replica Renzi.
La chiave individuata dal premier per fare breccia nella pancia degli elettori (a cui non si possono solo rifilare citazioni di Calamandrei e Dossetti, ma servono anche messaggi «più terra terra» dice Renzi tra una battuta e l'altra) è la «lotta alla Casta», tema caro all'elettorato grillino e non solo. Renzi nei giorni scorsi ha confidato ai suoi di voler calibrare con attenzione il tasso di retorica anti Casta nella campagna per «Sì», ma a giudicare dalla prima uscita bergamasca il tema sarà un cavallo di battaglia. «L'Italia è il Paese con il maggior numero di politici, 945 parlamentari contro i 525 degli Stati Uniti, va bene che l'Italia conta più degli Usa...» ironizza Renzi, che sfrutta il campionario completo degli evergreen: il governatore regionale che guadagna più di Obama, i rimborsi per le mutande verdi, i governi che durano «come un gatto in autostrada» («63 governi in settant'anni»!), tutti mali che la riforma Renzi-Boschi risolverebbe almeno in parte. «Se vince il No vince l'ingovernabilità», l'Italia sarà «il paradiso terrestre degli inciuci» riassume Renzi: «Ci sarà un sistema nel quale nessuno avrà mai la maggioranza, e quindi voi votate pure chi vi pare tanto poi si fanno gli inciuci a Roma». Qualche istante di disorientamento nel teatro, ma è Renzi stesso - sostenuto da transfughi di centrodestra, ex grillini, ex Sel - a rompere l'imbarazzo: «Io stesso ne sono una dimostrazione, perché sono diventato premier sulla base di un accordo parlamentare». Se vince il «Sì» alla referendum, invece, «si passa dal diritto di veto al diritto di voto», un altro scioglilingua che verrà proposto nella lunga campagna referendaria («Basta un Sì»).
Obiettivo: 100mila firme nel week end, 10mila comitati entro ottobre, «chiamate i vostri amici, le zie, io ne ho costituito uno con i miei vecchi compagni di scuola, sto provando a convincere un amico di Pontassieve che vota Forza Italia...». Il premier respinge l'accusa di «personalizzare» il referendum, ma conferma: «Se perdo vado a casa». Un impegno che può spingere molti, magari indifferenti al referendum, a votare No proprio per mandarlo a casa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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