L'intelligence italiana conosce bene la pratica. I file sul Moas e sulle altre Ong in grado di mandare navi davanti le coste libiche incominciarono a venir redatti fin dall'inizio di Mare Sicuro, la missione navale per la difesa degli interessi nazionali varata nel marzo 2015. L'attenzione del personale d'intelligence imbarcato sulle nostre unità si focalizzò immediatamente sull'addestramento e sulle capacità del personale di soccorso del Moas, l'Ong basata a Malta e guidata dall'americano Christofer Catrambone e dalla moglie italiana Regina. Bastò poco per scoprire - spiega una fonte de il Giornale - che «gran parte di quel personale veniva arruolato nelle stesse liste di contractors ingaggiati dalle compagnie private di sicurezza». Gli «angeli custodi» dei migranti, con cui lavorava anche Emergency erano, insomma, veri e propri mercenari. O se vogliamo un titolo più à la page professionalissimi «contractors».
Ma la rivelazione più interessante raccolta da il Giornale è un'altra. Secondo fonti militari di Malta le attività del Moas coprono attività d'intelligence per conto del governo statunitense. E secondo le stesse fonti su almeno una delle due navi del Moas sono, o erano, installate strumentazioni per intercettazioni ad ampio raggio. Nulla d'illegale per carità. Negli Stati Uniti l'intelligence outsourcing, l'affidamento di operazioni di spionaggio a società private dà lavoro a 45mila persone e spartisce fondi per 16 miliardi di dollari. Il problema è la copertura sotto cui il Moas svolge la duplice attività. Il coordinamento delle operazioni di soccorso viene infatti realizzato con il coordinamento della Guardia Costiera. Come se, insomma, un'ambulanza in capo al 118 o a un altro numero di pubblico soccorso, utilizzasse la propria attività per raccogliere informazioni finalizzate alle strategie di potenze straniere.
Non a caso il comandante generale della Guardia Costiera ammiraglio Vincenzo Melone è atteso in Commissione Difesa del Senato per rispondere, già martedì prossimo, a domande che riguarderanno non solo l'esigenza di salvare i profughi in mare, ma anche di preservare gli interessi nazionali in un'area critica come le coste della Libia. Interessi apertamente calpestati dal Moas che per primo - come rivelano sia le segnalazioni di Mare Sicuro, sia dalla missione europea EunavFor Med - iniziò a varcare il limite delle acque territoriali libiche. Tra le quattro operazioni al di sotto delle 12 miglia messe sotto esame nel 2016 due vennero portate a termine tra giugno e luglio dal Phoenix e dalla Topaz-Responder, le due imbarcazioni di 41 e 50 metri in capo al Moas registrate in Belize e nelle isole Marshall. Operazioni registrate dai trasponder di bordo sicuramente non sfuggite all'attenzione della Guardia Costiera.
Il problema a questo punto è se la duplice attività svolta dal Moas sia stata segnalata al nostro governo e se queste segnalazioni siano state recepite con la dovuta attenzione. Per capire che le operazioni del Moas erano il simulacro mediatico di altre attività bastava consultare il sito internet di Tangiers Group, la compagnia capofila di Christoper Catrambone in cui si pubblicizzano apertamente attività come «assicurazioni, assistenza d'emergenza e servizi d'intelligence». Ma come dimostrano gli avvertimenti «politici» ricevuti dal procuratore della Repubblica di Catania, Carmelo Zuccaro, responsabile dell'inchiesta sul Moas e sulle altre Ong, portare alla luce e denunciare quell'ambiguità non è altrettanto facile. In fondo il signor Catrambone restituiva parte dei proventi incassati con le attività d'intelligence devolvendo 416mila dollari al comitato elettorale di una Hillary Clinton considerata, fino allo scorso novembre, la prossima, inarrestabile inquilina dello Studio Ovale.
Il tutto mentre la moglie Regina spiegava sul sito Open Democracy -
un'organizzazione di George Soros - la necessità di garantire agli immigrati accessi facilitati in Europa. Referenze complicate e imbarazzanti. Capaci di vanificare anche le esigenze di sorveglianza attribuite solitamente a un governo.
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