Francesco beve un bicchiere di latte e accetta di mangiare alcuni datteri, dentro uno di quei 477 alloggi popolari di via Salomone, periferia est di Milano. Glieli offre Abdel Karim Mihoual, in Italia da quasi trent'anni. La figlia del magazziniere marocchino, una diciassettenne, chiede al Papa di fare un «selfie» e lui la accontenta. Entra in quelle case chiedendo permesso. Al quarto piano ha appena fatto visita a Lino, che da 5 anni è immobilizzato in un letto, e a sua moglie Dori, che ha sfornato il pane: Francesco lo benedice per fare in modo che lo divida fra tutti gli inquilini. Sono mille gli abitanti delle Case bianche della «Trecca» e il terzo incontro è con una coppia di anziani ammalati. Sono sposati da 61 anni e partecipano sempre alla messa. Nuccio ha 82 anni, Adele uno di meno. La padrona di casa adesso è ricoverata e Francesco la chiama sul telefonino per chiederle come sta, con una di quelle telefonate che sono diventate il suo segno distintivo. Fuori, sotto, diecimila persone lo aspettano dall'alba. Lo acclamano. Cantano. Soffrono e sperano. È una Milano lontana, non solo fisicamente, dai grattacieli della finanza e della moda. È una Milano che dell'Expo e della ripresa economica non si è neanche accorta. E il Papa delle periferie ha voluto incontrarla, guardarla negli occhi: «La Chiesa non rimane nel centro ad aspettare», dice teorizzando con parole semplici questo sguardo pastorale verso il mondo. La Chiesa «va incontro a tutti, nelle periferie, va incontro anche ai non cristiani, anche ai non credenti, e porta a tutti Gesù». Porta a tutti la sua misericordia. Soprattutto a chi ha più bisogno.
Nel piazzale delle Case bianche si susseguono le testimonianze. La Caritas, che a Milano è una colonna, le ex insegnanti che il sabato pomeriggio, da volontarie, nella parrocchia di San Galdino aiutano i bambini con i compiti. Una delle immagini del giorno, quella che resta scolpita negli sguardi di tutti, è quella del papà di un bambino disabile che piange aggrappato alla carrozzina del figlio. Piange per la commozione, l'emozione e la gratitudine.
Tre ore dopo, concluso l'incontro in piazza Duomo, per la prima volta un pontefice varca la soglia di San Vittore, per la tappa più lunga della giornata. Nello storico carcere milanese, che ospita circa 900 reclusi (ormai per quasi due terzi stranieri) Bergoglio trascorre tre ore. Per i detenuti ha parole di conforto: «Voi per me siete Gesù, siete fratelli». Si ferma a pranzare con cento di loro, condividendo il loro stesso pasto (risotto allo zafferano, cotoletta e patatine, panna cotta, con carciofi alla «giudìa»). E prima della messa con una folla enorme nel parco di Monza, compatibilmente col ritardo che si è creato nell'agenda di una giornata così intensa, si concede un breve riposo nell'alloggio del cappellano, piuttosto che rientrare nell'episcopato. Al sesto raggio incontra i detenuti «protetti», compresi coloro che hanno commesso reati verso donne, bambini e anziani.
Per andare incontro alle periferie delle «terre ambrosiane» Bergoglio si veste da sacerdote, indossando un stola artigianale ricevuta come omaggio dai cittadini del quartiere (insieme a un'immagine della statua della Madonnina che veglia sul quartiere da prima ancora che fossero innalzati, in fretta e furia, quei casermoni che, con la nebbia del mattino, appaiono grigi).
Si fa «normale», Bergoglio. Usa i bagni chimici di via Salomone, scatta una foto di gruppo con i Carabinieri, in Duomo incoraggia i diaconi, concedendosi perfino una battuta sulle suocere: «Non siete mezzi preti e mezzi laici» - scherza - «anche se avete la suocera».
Il Papa si fa normale e le persone normali lo sentono vicino,
questo è certo. Tanto che una donna, in lacrime, prova quasi a rincorrerlo, mentre la «Papamobile» parte per il Duomo: «Non ce l'ho fatta neanche a salutarlo» dice. E uno sconosciuto le dà una pacca sulla spalla: «Coraggio».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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