Dopo diciotto anni di buio si inizia a far luce sul caso di Serena Mollicone, la diciottenne scomparsa da Arce, in provincia di Frosinone, il primo giugno 2001 e trovata morta due giorni dopo.
Il procuratore di Cassino, Luciano d'Emmanuele, a conclusione delle indagini, ieri ha chiesto il rinvio a giudizio per l'ex comandante della stazione Franco Mottola, per la moglie Anna e il figlio Marco, oltre che per il maresciallo Vincenzo Quatrale con l'accusa di concorso in omicidio. Per Quatrale si ipotizza anche l'istigazione al suicidio del brigadiere Santino Tuzi, mentre per l'appuntato Francesco Suprano, il reato di favoreggiamento.
La giovane venne trovata senza vita le con mani e i piedi legati e in testa un sacchetto di plastica, in un boschetto ad Anitrella, frazione del vicino Monte San Giovanni Campano. Negli anni c'è stato un innocente che ha pagato e vari tentativi di depistaggio e archiviazione. «Sono 18 anni che Serena è stata uccisa, è giusto finalmente sapere la verità - ha detto il papà, Guglielmo Mollicone -. Sono fiducioso che, a questo punto, verrà fuori totalmente e chi ha sbagliato deve pagare . Con indagini ben fatte è stato constatato che è successo quello che io sostenevo. Né Serena, né io avevamo nemici così crudeli da ucciderla. Era andata in caserma per denunciare un giro di droga. È stata massacrata e dai suoi resti manca addirittura l'organo genitale e una parte della fronte».
L'inchiesta rischiava di terminare con l'assoluzione nel giugno 2006 di Carmine Belli, un carrozziere di Rocca d'Arce, che per 18 mesi era rimasto in cella di isolamento dopo l'arresto nel 2004. Ma per la Procura Belli fu vittima di uno dei tanti depistaggi attuati dai veri responsabili. La famiglia si oppose alla chiusura del caso. Così nel 2011 magistratura e carabinieri istituirono un pool, con l'allora comandante provinciale Antonio Menga, sostituito poi dal colonnello Fabio Cagnazzo. Ora il lavoro ha dato i suoi frutti. Serena, come gridato dal padre per 18 anni, quel giorno era andata in caserma ad Arce. La Procura ipotizza dovesse incontrare Marco Mottola, suo coetaneo e figlio dell'allora comandante. Una volta all'interno (come ricostruito dalle indagini dei Ris e dagli accertamenti dell'Istituto di Medicina Legale di Milano dove il corpo di Serena, una volta riesumato, è stato studiato per oltre un anno e mezzo) i due ragazzi avrebbero litigato. Lui l'avrebbe colpita con uno schiaffo, facendole sbattere violentemente la parte occipitale contro la porta di un alloggio in disuso. Lei avrebbe perso i sensi. Perdeva anche sangue dall'orecchio. Sarebbero intervenuti il maresciallo e la moglie, spostando la ragazza su un terrazzino coperto. Qui le sarebbe stato messo un sacchetto in testa, sigillato con del nastro adesivo. Lei però non era morta. Poteva essere salvata, come confermato dall'autopsia, perché il decesso arriverà solo sei ore dopo per soffocamento.
La rivisitazione
degli atti procedimentali, la riesumazione del cadavere e l'applicazione di tecniche all'avanguardia, hanno portato ora la Procura ora a stringere il cerchio attorno ai cinque indagati, che avrebbero agito proprio in caserma.
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