La vicenda del comico di Zelig, Marco Della Noce - noto ai più per l'esilarante parodia del meccanico della Ferrari - riporta in auge la categoria dei papà separati, attenzionati anche dagli istituti di statistica perché ormai rifluiti in modo copioso fra i «nuovi poveri». Fa specie immaginare il comico, che molti invidiavano (cosa c'è di meglio di guadagnare divertendosi?), ridotto nella totale miseria, costretto a vivere in auto, privo di qualunque risorsa che gli garantisca un tetto sopra la testa, una doccia calda ed un minimo sostentamento vitale. È inevitabile solidarizzare con Marco Della Noce ma è verosimile che, dall'altra parte della barricata, vi sia una ex moglie altrettanto disperata che contava proprio su assegni rimasti impagati per garantire ai figli il soddisfacimento dei bisogni primari. Le vittime, in questa separazione come in tutte le altre, sono tanto i mariti/padri quanto le mogli/madri, ed ancor di più lo sono i figli coinvolti. Per questa volta, però, voglio sottrarmi ad un ecumenico commento di democristiano cerchiobottismo che distribuisce una pelosa solidarietà a tutte le categorie. No: questa volta voglio schierarmi con gli uomini. Nelle aule di Tribunale ho visto davvero tanti padri ridotti alla fame, quella vera. Chi abbia rinunciato a difendersi o lo abbia fatto in modo sciagurato, ovvero chi abbia trovato giudici non comprensivi, si è trovato nella situazione tragica di Marco Della Noce. Ricordo persino un avvocato con tre figli finito al dormitorio di Stazione Centrale, a Milano. Un uomo che perde la casa, perché assegnata alla moglie collocataria dei figli, con quali risorse può sopravvivere se deve anche pagare il mantenimento alla prole, alla moglie, il mutuo, i finanziamenti, le tasse? Soprattutto, con quali soldi può pagarsi un'abitazione in un'Italia in cui le banche chiudono i rubinetti e gli affitti costano moltissimo, specialmente nelle città? Esistono mariti cui residua un minimo vitale inferiore a quello di un rigattiere a Nairobi; ad altri nemmeno quello. Se non possono riparare dai propri genitori e non ricevono da questi un aiuto, è facile finire per strada: le cronache infatti sono piene di storie di questo tipo.
Da tempo si invoca un concreto intervento normativo a loro tutela ma i risultati sono scarsi, lenti e soprattutto tardivi. Prima si è atteso che il problema sociale esplodesse, poi ci si è preoccupati, intervenendo però con palliativi insufficienti, rimessi alle amministrazioni locali. Singoli comuni, ovvero Regioni (come Lombardia e Liguria), hanno previsto bandi per accedere ad aiuti economici, sportelli d'ascolto, persino case d'accoglienza. La montagna, per ora, ha partorito topolini. La giurisprudenza, dal canto proprio, con la sua pachidermica lentezza, sta provando a riequilibrare le sorti attraverso pronunce che responsabilizzano le mogli e mettono un freno alle rendite parassitarie di cui godono per effetto di un matrimonio fallito (spesso per loro colpa). Lo ha fatto la Cassazione con la storica sentenza del maggio 2017 che ha riscritto le regole per la concessione dell'assegno divorzile ma siamo ancora distanti dall'affermazione di una piena ed egualitaria tutela.
È paradossale che il sesso debole, quello percepito come discriminato, dalle separazioni e dai divorzi ne esca spesso meglio degli uomini. In conclusione esprimo tutto il mio appoggio a Marco Della Noce, con l'augurio che riesca a trovare la forza per tornare a lavorare e farci ridere.
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