Silenzi e assoluzioni a oltranza: i suoi fan amici non si pentono

Le parole di chi lo difende. Vauro: no a condanne senza appello

Silenzi e assoluzioni a oltranza: i suoi fan amici non si pentono

Roma «Gli appoggi di cui ho goduto sono stati il più delle volte di carattere politico rafforzati dal fatto che io ero ritenuto un intellettuale, scrivevo libri; era anche una precisa garanzia che ero ormai una persona non più da ritenersi pericolosa». Nel verbale di interrogatorio il terrorista Cesare Battisti ha fornito un'analisi molto più lucida di quella fornita dai suoi sostenitori, «spiazzati» dalla confessione dei quattro omicidi compiuti tra il 1978 e il 1979. A partire dalla sua editrice francese, Joëlle Losfeld che al Corriere della Sera ha confermato il proprio appoggio all'ex componente dei Pac. «Sanno che ho difeso Cesare Battisti perché è un amico. Non faccio analisi politiche riguardo ai miei amici, credo a quel che mi dicono», ha dichiarato aggiungendo che «non c'era motivo per cui non credessi alla sua versione, una volta che ha lasciato l'Italia qualcuno gli ha addossato tutte le responsabilità». Infine, una minima presa di distanza: il sostegno è stato anche una forma di patriottismo. «Lo abbiamo difeso perché la Francia aveva preso un impegno».

Anche i firmatari dell'appello del 2004 contro la sua estradizione dalla Francia (evitata grazie alla fuga in Brasile) non hanno mostrato segni di resipiscenze. Lo scrittore Valerio Evangelisti a Repubblica «quarant'anni dopo non ha senso accanirsi su una persona» e che «i metodi seguiti nei processi di quegli anni erano discutibili». La stessa spiegazione è stata fornita dal collettivo Wu Ming che, pur non commentando, ha ribadito sia la propria contrarietà alla legislazione antiterrorismo che l'auspicio di un'amnistia. Stesso discorso per il vignettista Vauro che, però, qualche mese fa aveva parzialmente ridiscusso la propria adesione. «Potrebbe trattarsi di una strategia per ottenere sconti di pena ma nessuno può affermarlo senza la minima incertezza», ha sostenuto precisando che «non è il caso di fare condanne morali senza appello; quello che posso dire è che 15 anni fa, quando fu promosso quell'appello, certi comportamenti discutibili di Battisti non si erano manifestati».

Ancor più radicale lo scrittore Christian Raimo. «Sono perplesso sul modo in cui questa confessione arriva: dopo mesi di isolamento, di carcere disumano», ha dichiarato interrogandosi se si tratti di una confessione credibile o dell' «unica possibilità che aveva Battisti per sperare di rivedere la sua compagna e i suoi figli e avere qualche anno di libertà». Anche Raimo ha rinnovato l'appello a «una riflessione e un intervento politico sugli anni Settanta che non riduca la verità storica a una verità giudiziaria spesso vendicativa, che non costringesse i responsabili della violenza armata a dichiararsi pentiti o reduci per avere una qualche possibilità di non finire all'ergastolo». Il retropensiero è che lo Stato per questi intellettuali continui a rappresentare una sorta di potere nemico.

Forse questa tesi sovversiva viene sostenuta anche per non sconfessare la scelta di appoggiare quello che s'è rivelato un criminale comune. Forse sarebbe stato meglio un imbarazzato silenzio come quello nel quale si sono rinchiusi i francesi Bernard-Henri Levy e Fred Vargas.

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