Roma - Nessuno lo dice, ma con il voto di ieri sul Jobs Act si è voluto anche mandare a Matteo Renzi un messaggio sulle vere partite politiche, strettamente connesse, dei prossimi mesi: l'Italicum e il Quirinale. Quella pattuglia di deputati della minoranza Pd che ha voluto segnare il proprio dissenso dal premier, sia pur pasticcioni e divisi (un po' contro, un po' astenuti, un po' fuori dall'aula), sono l'avanguardia di un pezzo più ampio del corpaccione democrat che si prepara a combattere per impedire a Renzi di varare la legge elettorale maggioritaria prima delle dimissioni di Giorgio Napolitano. Il loro timore (che è lo stesso della fronda interna a Forza Italia, a cominciare dai 30 «fittiani») è che il premier, una volta ottenuto l'Italicum valido per la Camera, punti al voto a primavera e che Napolitano - che molti suoi interlocutori descrivono preoccupato per quello che potrebbe succedere in un Parlamento così ingovernabile sulla sua successione - glielo conceda. Dando alle prossime Camere e ad un Pd assai più compattamente renziano l'onere di scegliere il prossimo capo dello Stato. Dunque, la priorità per loro è rallentare la legge elettorale e far saltare il patto del Nazareno, per arrivare al voto per il Colle con Renzi privo dell'arma elettorale. E tentare di far eleggere un presidente in grado di «commissariare» il premier e di garantire agibilità politica all' ancien regime Pd.
Paradossalmente, uno dei nomi più gettonati per questa operazione è quello di Romano Prodi. È a lui che pensano D'Alema e Bersani. «Serve un presidente forte, autorevole, autonomo e con uno standing internazionale, in grado di aiutare Renzi», ragiona Miguel Gotor. Prodi, guarda caso, è rispuntato dalle nebbie proprio il giorno delle elezioni in Emilia, per mandare il suo avvertimento a Renzi e schierarsi con il Pd che «soffre» per l'astensione. I maligni dicono che l'anziano ex premier abbia più di una ragione di ostilità per Renzi: ultima, il governo non si sarebbe impegnato per fargli avere l'agognato incarico di inviato Onu in Libia. E Renzi, dal canto suo, quando ricorda di aver «fatto saltare un progetto neocentrista e tecnocratico» prendendosi il governo, quando avverte i suoi che «gli autori di quel progetto sono ancora lì e aspettano un mio passo falso per mettermi sotto tutela», ha in mente un identikit che ricorda molto Prodi.
Di certo, il Professore bolognese lavora alla partita, e manda messaggi.
Persino a Berlusconi: racconta su Panorama il ben informato «Keyser Söze» che il senatore Pd Mucchetti, vicino a Bazoli e Prodi, ripete ai frondisti di Fi che fanno capo a Fitto che bisogna convincere il Cavaliere di un fatto: «la pacificazione in Italia possono sancirla solo i condottieri dei due eserciti che si sono combattuti». In pratica, un Nazareno 2 da stipulare (contro Renzi) proprio con il fondatore dell'Ulivo. Sullo sfondo la grazia per Berlusconi, e il Quirinale per Prodi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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