Ricordate? Era il settembre 2015 e la guerra siriana sembrava senza vie d'uscita. Così quando - il 30 di quel mese - Vladimir Putin annunciò di voler scendere in campo bombardando l'Isis e gli altri gruppi jihadisti, molti scommisero su un'imminente guerra mondiale. Una previsione fattasi ancor più verosimile due mesi dopo, quando la Turchia di Erdogan abbatté un aereo russo. Invece Vladimir Putin ha fatto il miracolo. In poco più di due anni ha realizzato un'autentica missione impossibile mettendo fine - grazie alla sconfitta dell'Isis e degli altri gruppi jihadisti - a un conflitto costato oltre 320mila vite. Un'impresa suggellata martedì dell'abbraccio con il presidente siriano Bashar Assad arrivato in gran segreto a Sochi per dare il pieno assenso al suo piano negoziale. Un assenso scontato visto che solo l'aiuto di Putin gli ha permesso di sopravvivere a chi voleva fargli fare la stessa fine di Gheddafi e Saddam Hussein. Ma la missione di Putin non è finita. Non pago di aver tenuto in sella Assad vuole ora far siglare un ambizioso piano di pace ai protagonisti diretti e indiretti del conflitto diventando così il vero ago della bilancia degli equilibri meridionale. Non a caso ieri a Sochi sul Mar Nero ha guidato i colloqui tra il presidente iraniano Hassan Rouhani - principale alleato militare di Bashar Assad - e il suo omologo Recep Tayyp Erdogan, grande protettore di una rivolta anti Assad nata e cresciuta nei santuari disseminati oltre la frontiera turca. Ma non solo. Mentre Rohuani ed Erdogan concordavano con Putin un piano per garantire la permanenza al potere di Bashar Assad e lo svolgimento di nuove elezioni a Riad, il re saudita Salman e suo figlio Mohammed Bin Salman mettevano in atto un altro capitolo del piano proposto da Mosca.
Proprio ieri l' «Alto Comitato per i Negoziati» - la rappresentanza dei ribelli siriani responsabile delle trattative convocata a Riad - annunciava le dimissioni del suo attuale responsabile Riyad Hijab e di altri dirigenti legati ai gruppi jihadisti più radicali. Ai negoziati guidati da Mosca parteciperà così, con la benedizione saudita, una delegazione ripulita di tutte quelle componenti radicali restie ad accettare una pace concordata con il regime di Bashar Assad. L'imminente «pax Russa» contiene però anche molte incognite. La prima è senza dubbio il ruolo dell'America di Donald Trump. Martedì, dopo una lunga telefonata con il suo omologo russo il presidente statunitense si è detto pronto ad appoggiare il piano di Mosca.
Il primo a guardare con estrema preoccupazione allo smarcamento statunitense è un Israele preoccupato dalla legittimazione negoziale di un Iran sempre più minaccioso, sempre più vicino alle sue frontiere e capace in futuro di sfoderare l'arma nucleare. Un nemico che Israele potrebbe decidere di contenere con operazioni preventive contro lo stesso Iran o contro i suoi alleati. Ancor più preoccupati sono però i curdi siriani. Utilizzati dagli americani come carne da cannone nella lotta contro l'Isis a Raqqa e dintorni rischiano ora di venir sacrificati nel nome della realpolitik, ovvero di un accordo a quattro tra Mosca, Ankara, Damasco e Teheran. Ma in questo scenario anche il sì di Trump appare quanto mai temporaneo.
Nel lungo periodo l'eventuale sostegno di Washington alla trattativa russa equivale infatti a un autoemarginazione dai giochi mediorientali. Un'autoemarginazione che regala a Putin lo scettro d'indiscusso dominus della regione. E c'è da chiedersi quanti a Washington e al Pentagono siano disposti ad accettarlo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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