«La Francia non deve prendere lezioni da nessuno». Il presidente francese ieri è salito di nuovo in cattedra, spiegando che «cooperazione significa responsabilità di ciascuno a partecipare e a condividere il carico». Le cose sono due: o Macron non conosce i numeri oppure sta ciurlando nel manico a spese non solo dell'Italia, ma di tutta Europa. Perché, come sottolineava sei mesi fa il sito Open Migration la Francia ha scelto di versare solo la cifra minima per finanziare i programmi legati al controllo delle frontiere e alla gestione delle migrazioni. All'opposto di Italia e Germania, primo e secondo contribuente.
Si tratta del cosiddetto Trust Fund per l'Africa presentato al vertice sulle migrazioni della Valletta nel novembre 2015 dai capi di Stato e di governo dell'Ue con i principali Paesi africani coinvolti nei flussi. Nato per contrastare «le cause profonde dell'immigrazione irregolare e dello sfollamento di persone in Africa, promuovendo opportunità economiche e rafforzando la sicurezza», il Fondo è diventato in due anni e mezzo uno strumento chiave, almeno potenzialmente, della politica europea in Africa. I 24 Paesi africani beneficiari sono: 13 nel Sahel (Burkina Faso, Camerun, Ciad, Costa d'Avorio, Gambia, Ghana, Guinea, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria e Senegal), 9 nel Corno d'Africa (Gibuti, Eritrea, Etiopia, Kenya, Somalia, Sud Sudan, Sudan, Tanzania e Uganda), e 5 in Nordafrica (Algeria, Egitto, Libia, Marocco e Tunisia).
L'Italia, con 102 milioni di euro, è il primo contribuente a livello europeo, ricorda Open Migration, seguita da Germania (54 milioni) e Olanda (26 milioni). Slovenia, Bulgaria, Lettonia e Lituania avrebbero versato poco più di 50 mila euro, mentre «la maggior parte dei governi, come quello francese, ha scelto di corrispondere 3 milioni di euro, la cifra minima per sedere nel Trust Fund Board che definisce le linee generali per l'assegnazione dei contributi» Idem Spagna e Svezia.
«Dobbiamo proteggere le frontiere lavorando sulla procedura di asilo e fare accordi per rendere più efficace il sistema», ripete Macron. Ma a due anni e mezzo dal lancio del Fondo fiduciario per l'Africa, c'è chi ha fatto la sua parte e chi invece fa finta che questo strumento quasi non esista. Al presidente francese farebbe bene esserne informato. Almeno al pari dei sondaggi che lo vedono in piena crisi di popolarità in Francia, costringendo l'Eliseo ad alzare i toni contro l'Italia giallo-verde per recuperare consensi in patria.
Nella rilevazione mensile Ifop-JDD, Macron è sceso di un ulteriore punto: dal 41% dei «soddisfatti» di maggio al 40% di giugno, toccando il suo minimo storico. Anche il premier Edouard Philippe (che nei giorni scorsi ha dato manforte alle dichiarazioni di Macron contro l'Italia) è calato dal 45% al 42%. Entrambi perdono le simpatie della sinistra che aveva sostenuto il movimento En Marche!.
L'ultimo comunicato europeo del 29 maggio spiega invece che la cifra investita dal Trust Fund per il Nordafrica è salita a 335 milioni. Ma non per merito della Francia. Oltre il 95% delle risorse provengono infatti dal Fondo Europeo per lo sviluppo (80%) e da altre voci del bilancio comunitario, tra cui Cooperazione (Devco), politiche di vicinato (DG Near) e affari interni (DG Home). Ciò ha permesso l'evacuazione di 1.
287 rifugiati dalla Libia in Niger e «l'aiuto a 22 mila migranti bloccati lungo le rotte a tornare nel proprio Paese, dove riceveranno un sostegno al reinserimento». Anziché dar lezioni, i francesi potrebbero far la loro parte.
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