Roma Il premier Matteo Renzi chiama i sostenitori in piazza per festeggiare la scomparsa dell'Imu. La data scelta è il 16 giugno, cioè la scadenza della prima rata Imu e Tasi del 2016. Tre giorni prima dei ballottaggi per i comuni. Ma il timing rischia di diventare un boomerang, perché ai contribuenti-elettori dentro la cabina potrebbe tornare in mente l'appuntamento con il fisco fissato per lo stesso giorno. Con tasse sugli immobili che restano altissime.
Quale sia stato l'andamento della pressione fiscale negli ultimi anni si capisce dalle cifre che ricorda Francesco Spaziani Testa, presidente di Confedilizia. In pochi anni «si è passati da una imposizione patrimoniale da 9 a 25 miliardi». Poi con l'abolizione dell'Imu sulla prima casa la pressione «è diminuita leggermente, a 22 miliardi». La misura voluta da Renzi ha coinvolto molte persone, ma gli importi risparmiati dagli italiani sono minimi e la stangata sulla casa voluta dai governi Monti e Letta è di fatto ancora intatta.
Come se non bastasse sul governo ci sono pressioni affinché anche questa inversione di tendenza sia cancellata. «Pressioni dall'Europa e forse anche da Confindustria», osserva il presidente della associazione che tutela i proprietari di case. Sbagliate perché ormai sono noti gli effetti negativi della stangata sul mattone «che non ha solo eroso i redditi delle famiglie, ma ha colpito anche la produzione e l'occupazione».
Ma vediamo quanto resta delle imposte sul mattone dopo il taglio di Renzi. Sulla prima casa il 16 giugno andrà pagato il primo acconto di Imu e Tasi. L'eliminazione delle imposte sulla prima casa non riguarda le abitazioni considerate di lusso. Sono le categorie A1, A8 e A9. La stangata resta integra sulle seconde case. In molti casi con la doppia imposizione di Imu e Tasi.
Sulle abitazioni non gravano solo le imposte patrimoniali. Viene ancora tassato il reddito che producono. Quello reale in caso di immobili affittati, quello teorico della rendita catastale in altri casi. Poi le addizionali regionali e comunali Irpef. Quindi la Tasi, tariffa rifiuti, che è sempre più alta.
Ma la vera stangata resta quella su negozi e uffici affittati. «Di solito hanno aliquote fissate dai Comuni ai livelli massimi, poi sui redditi che producono grava la tassazione ordinaria che spesso va all'aliquota marginale. A differenza degli affitti per uso abitativo, non hanno la possibilità di optare per la cedolare secca», spiega Spaziani Testa.
La gran parte dei negozi e degli offici offerti in locazione sono di proprietà dei privati, che praticamente non possono recuperare le spese. Prima c'era una deduzione forfettaria del 25%, che è scesa al 15% e successivamente con la legge Fornero (sì, quella sulla pensioni, a dimostrazione che si è trattato solo di una misura per fare cassa) è stata ridotta ulteriormente al 5%.
«Tra redditi tassati con l'aliquota marginale che può essere al 43%, addizionali, Imu, Tasi, detrazioni insignificanti, abbiamo casi di tassazione che supera l'80 per cento. Senza contare le spese di manutenzione e il rischio morosità». Tra i residui di una tassazione punitiva, l'Irpef che si paga nelle seconde case nel comune di residenza. Ridotta al 50%, ma sempre ingiusta, spiega il presidente di Confedilizia, «perché colpisce soprattutto gli immobili che i proprietari non riescono ad affittare».
Il governo ha introdotto alcune agevolazioni. Ma non mancano i problemi nel passare dalla teoria alla pratica. Ad esempio non ha ancora trovato soluzione quello che riguarda lo sconto fiscale del 50% sulla casa concessa in comodato dai genitori ai figli, a patto che sia nello stesso comune della principale abitazione dei genitori.
Si può applicare solo se si è proprietari di due abitazioni nello stesso comune.Il difetto subito emerso è quello del caso classico in cui la famiglia sia comproprietaria di un appartamento condominiale del portiere. Condizione sufficiente a perdere il beneficio fiscale.
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