Sparito il tesoro italiano in Libia Tripoli e le aziende lo reclamano

I soldi del fondo Berlusconi-Gheddafi usati per altro in varie finanziarie tra 2013 e 2014. Beffati i creditori

Sparito il tesoro italiano in Libia Tripoli e le aziende lo reclamano

Scomparsi tra le pieghe delle leggi finanziarie. Mai arrivati a destinazione, quindi in Libia, né tantomeno alle aziende italiane che lavorano o lavoravano nello stato nordafricano. Quello che è peggio, quei soldi non sono nemmeno parcheggiati alla Tesoreria centrale dello Stato. È una storia molto italiana quella dei fondi stanziati dall'Italia in seguito all'accordo siglato nel 2008 dall'allora premier Silvio Berlusconi e dal Rais di Tripoli, Gheddafi, per mettere fine alla controversia sui danni di guerra. Sono cinque miliardi di dollari in 20 anni, stanziati da una legge del 2009.

Dovevano andare alle ditte, tutte italiane, che avrebbero costruito infrastrutture. La caduta di Gheddafi ha bloccato i lavori, ma qualche mese fa il capo del governo Fayez Serray, appena insediato, ha chiesto all'Italia di rinnovare l'accordo e, magari, di incassare la quota dei 5 miliardi già nel fondo. Richiesta che, a quanto pare, è stata rinnovata anche recentemente dalle autorità libiche al governo Renzi.

A caccia di quei soldi ci sono anche diverse imprese italiane. Non quelle che avrebbero dovuto costruire, ma i vecchi creditori del governo Libico che dagli anni Ottanta avevano realizzato opere pubbliche e per i quali la legge sul partnenariato italia-Libia stanziava una cifra precisa: 150 milioni. Una sorta di sanatoria sui debiti della Pa, solo che in questo caso a fare i debiti è lo stato libico, non l'Italia.

L'avvocato romano Antonio Caliò ha chiesto il «pignoramento presso terzi» per recuperare 88mila euro di crediti di un suo cliente, una ditta attiva in Libia. I terzi in questo caso erano la presidenza del Consiglio dei ministri e Bankitalia in qualità di tesoreria. Palazzo Chigi, racconta l'avvocato, ha risposto che i crediti dello stato libico erano «impignorabili». La Banca d'Italia ha risposto in modo ancora diverso. Impossibile pignorare perché presso la Tesoreria centrale dello Stato «non esistevano alla data della notifica dell'atto di pignoramento, né fino ad oggi si sono costituite, disponibilità riferibili al debitore esecutato». Quindi niente «accantonamento» per chi aspetta quei soldi. Svaniti.

Eppure la legge c'è e c'è anche lo stanziamento. I soldi sono arrivati alle casse dello stato ed è cosa nota. Ad alimentare il fondo era un addizionale Ires del 4% che pagava, di fatto, soltanto l'Eni, gruppo energetico con una presenza importate in Libia, che fece ricorso contro quell'addizionale e vinse. Nel senso che incassò alcuni arretrati (76 milioni di euro messi a bilancio) e ridefinì l'imponibile sul quale pagava l'addizionale. Di fatto una sterilizzazione degli effetti della tassa pro Libia, che dal 2013 in poi ha effetti nulli sui conti Eni.

Ma altri soldi sono arrivati alle casse dello Stato. E non è difficile trovarli. Tra le tabelle delle leggi del 2013 e della legge di stabilità spunta più volte una copertura un po' discussa. C'è un decreto legge con misure per le Piccole e medie imprese che la «quota ancora non utilizzata delle risorse destinate all'attuazione» dell'accordo Italia-Libia per 432 milioni di euro. L'accordo Berlusconi-Gheddafi ricompare in un provvedimento omnibus del governo Letta del 2013 che prevedeva la sospensione della prima rata dell'Imu, misura temporanea (poi arrivò puntuale una stangata sul mattone) e l'istituzione di un Fondo per l'occupazione, finanziato per 100 milioni proprio dal fondo per la Libia.

Il servizio Bilancio della Camera osservò come si trattasse di una copertura molto particolare, visto che riguardava un accordo internazionale e comportava una «dequalificazione» della spesa. Da investimento a spesa corrente. Il fondo ritorna anche in una legge sblocca cantieri del 2014.

Insomma, quei soldi c'erano per tutti, tranne che per i diretti interessati. Sbagliato e illogico, sottolinea l'avvocato Caliò.

Anche perché «il pagamento dei debiti libici come pignorati sarebbe un risparmio per lo stato Italiano debitore», visto che «incasserebbe le tasse» su quelle somme.

La vicenda giudiziaria prosegue. Ma potrebbero rispuntare anche qualche problema con il governo libico quando chiederà conto di quei fondi che in Italia nessuno trova. Tranne i governi a caccia di coperture.

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