Spending review con truffa La Consulta ritocca i numeri

Tagli gonfiati con artifici contabili: lo scopre Perotti, l'ex commissario alla spesa pubblica che si dimise

Spending review con truffa La Consulta ritocca i numeri

Che la spending review sia stata una ciclopica fake news di governo era già chiaro a tutti: tagli minimi, commissari chiamati a revisionare la spesa pubblica superflua che si dimettono uno dietro l'altro quando capiscono di essere solo strumenti di propaganda. Quel che ancora non era del tutto evidente è che anche i tagli certificati nero su bianco nei bilanci potrebbero essere solo frutto di alchimie contabili, trucchi utili solo a far bella figura e tacitare le polemiche contro la casta.

Specie se a venir beccata in flagrante raggiro è la Consulta. Il guardiano supremo della «Costituzione più bella del mondo» a quanto pare ha fatto la guardia anche ai propri privilegi. La rivelazione arriva da uno studio firmato da una fonte autorevole, l'economista Roberto Perotti, tornato dietro la sua cattedra alla Bocconi dopo aver sbattuto la porta di Palazzo Chigi, concludendo amaramente l'ennesimo tentativo inascoltato di arginare gli sprechi della pubblica amministrazione.

In un saggio pubblicato su Lavoce.info, Perotti riporta la risposta della Corte costituzionale a una sua richiesta di chiarimenti sugli apparenti risparmi sulle pensioni di giudici e dipendenti che compaiono nei bilanci. La Corte mette per iscritto che «fin dal 2014 è stata avviata un'opera di razionalizzazione e di riduzione della spesa, nell'ambito della quale ha influito in modo rilevante anche l'attuazione della legge Fornero», allega i dati dal bilancio consuntivo, che fino a poche settimane fa non aveva mai pubblicato, secondo cui tra il 2013 e il 2016 ha risparmiato ben nove milioni su 62, un bel 15 per cento. In realtà, osserva Perotti, «c'è stata una piccola riduzione delle retribuzioni nette dei giudici, grazie alla riduzione dello stipendio da 465.000 euro a 360.000 euro entrata in vigore nel maggio 2014. C'è stata anche una leggera riduzione delle retribuzioni nette del personale di ruolo e di altro personale. Ma c'è stato un aumento, non una riduzione, delle pensioni nette pagate».

Il professore si è accorto che il taglio del montante delle pensioni da 19 a 11 milioni è in gran parte dovuto al fatto che nel 2016 la Corte ha tolto dal bilancio principale l'intero ammontare della spesa per le pensioni per inserirla in una contabilità speciale separata. Formalmente la manovra è corretta: una parte della spesa pensionistica è costituita dai contributi e per una pubblica amministrazione sia quelli a carico del lavoratore che quelli a carico del datore di lavoro sono in realtà una partita di giro, cioè è lo Stato che li eroga ma è di nuovo lo Stato che li incassa. Il cittadino che paga le tasse non ci rimette nulla. Ma nemmeno ci guadagna, perché il semplice spostamento da una contabilità all'altra non può essere spacciato come «taglio strutturale». Cioè esattamente ciò che ha fatto la Consulta, mettendo a confronto, senza spiegare l'inghippo, le cifre del 2013 comprensive dell'intera spesa per le pensioni con quelle del 2016 che tenevano conto solo di una parte (la differenza tra i contributi incassati e le pensioni erogate).

Eliminando questa furbata, magicamente l'effetto della «spending review» della Consulta si riduce da 9 a soli 2 milioni, un ben più misero 3,2 per cento.

Un colpo alla credibilità delle tante sentenze della Corte che hanno

menomato la spending review (vedi lo stop al taglio dei maxi stipendi di magistrati e dirigenti)?: «Quella -dice Perotti al Giornale- era già compromessa dalla confusa logica economica che ha ispirato alcune di quelle sentenze».

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