Quando manca il prodotto, il prodotto sei tu. Questa è una frase popolare nel mondo di internet, ma racchiude potenzialmente una certa dose di verità. Nel momento in cui ci iscriviamo ai social network, è come se si concretizzasse quello che da sempre accade con la società: se nel vero patto sociale rousseauiano cediamo libertà in cambio di sicurezza, su internet cediamo parte della nostra privacy per guadagnarne, tacitamente e spontaneamente, in socialità.
Tuttavia, sottostimiamo quello che cediamo: singolarmente siamo tutti irriconoscibili. Ma se da soli non siamo nessuno, in massa acquistiamo valore. Valore gratuito: vendibile, commercializzabile, monetizzabile. Facebook incamera masse enormi di dati: ha superato i due miliardi di utenti al mese e resta il social network più diffuso al mondo. Anche se i numeri stanno diminuendo: la perdita si misura in 50 milioni di ore in meno al giorno trascorse sul social. Ma che fine fanno i dati? Finiscono in capannoni giganteschi nella Lapponia svedese, ad Altoona in Iowa, in Carolina del Nord, in Oregon e in Texas.
Così non va: se ne sono accorti in Belgio, in Germania, e anche in Francia. Facebook avrebbe infranto le leggi sulla privacy, tracciando le persone su siti di terze parti. Un tribunale belga ha ordinato di interrompere la raccolta di dati degli utenti: «Facebook ci informa in maniera insufficiente circa la raccolta di dati, sul tipo di dati che colleziona, su cosa fa con i dati e per quanto tempo li conserva». Ma la battaglia del Belgio non nasce ora: nasce nel 2015. In quell'anno, infatti, la Commissione belga per la protezione della privacy (Cpp) aveva commissionato uno studio ai ricercatori dell'Università di Leuven. Lo studio mostrava come tutti i dati dei visitatori di Facebook venissero tracciati senza consenso, attraverso i cookies, violando così la normativa Ue. Ora, il social network è stato ammonito: dovrà cancellare i dati che, secondo la corte, sono stati raccolti illegalmente. Se Facebook non dovesse accettare, dopo aver perso la causa, sarà condannata a pagare 250mila euro al giorno o una cifra superiore a 100 milioni.
A gennaio, il tribunale regionale di Berlino aveva stabilito la stessa cosa: anche in Germania la raccolta di dati da parte di Facebook ha suscitato reazioni dure. Secondo il tribunale tedesco, infatti, Facebook sta violando le leggi tedesche sulla protezione dei dati personali. Come in Belgio, anche in Germania la cosa non è nuova: a dicembre 2017, alcuni politici tedeschi avevano chiesto alle autorità di approfondire la vicenda sull'affidamento dei dati di Facebook a terzi (Instagram e Whatsapp). Sempre a gennaio, Sahra Wagenknecht (politica di sinistra) aveva twittato «l'estremo potere di mercato di Google e Facebook deve essere spezzato, bloccando il furto di massa dei nostri dati». E lo stesso Federal Cartel Office (o Bundeskartellamt) si era mosso, dichiarando la pratica illegale.
Germania e Belgio, però, non sono sole. Anche la Francia, a dicembre si era esposta: in questo caso, l'accusa cadeva su Whatsapp.
L'agenzia di protezione dei dati francesi, Commission Nationale de l'Informatique et des Libertés (Cnil), aveva dichiarato che Whatsapp non aveva le basi legali per condividere i dati per propositi di «business intelligence» e consigliava di disinstallare il software.Resta da capire cosa ne pensa l'Italia. Per ora, tutto tace.
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