Roma - Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, cerca di presentare la sua azione politica come fresca e innovativa. Praticamente una rosa di maggio. Le spine, purtroppo per lui, iniziano a farsi sentire. Evidentemente perché non ha saputo maneggiare con cura le riforme che ha coltivato.
Il conflitto aperto con l'Anm e con la corrente di Magistratura democratica ne è un perfetto esempio. Alle toghe non piace l'iperattivismo renziano e non si può dire che non abbiano cercato di farglielo capire. Non piace il passato e non piace nemmeno il futuro. Sgradita è stata la responsabilità civile dei magistrati, sgradita sarà la riforma della prescrizione se non si conformerà totalmente ai desiderata dei giudici. E, soprattutto, non si vogliono persone sgradite ai vertici delle Procure ove mai la politica cercasse un'interlocuzione con il Csm.
Ai magistrati (come ad altri) non piace quella curvatura «decisionista» che il premier ha imposto alle riforme costituzionali. E questa è l'altra spina: sulla trasformazione del Senato, sull'eliminazione di alcune competenze delle Regioni e sul principio the winner takes it all, Renzi ha improntato tutta la sua campagna. Ma se già i sondaggi sono poco benevoli per ottobre, lo sono ancor meno per giugno quando si svolgeranno le amministrative. Per quanto il premier voglia svilirne il significato politico, è chiaro che un insuccesso a Roma o a Milano o in tutt'e due (come alcune rilevazioni prefigurano) assumerebbe ben presto il significato di un avviso di sfratto. È chiaro che dopo una débâcle elettorale sarebbe più difficile portare avanti i propri programmi.
Ed ecco perché il presidente del Consiglio sta spingendo molto sul tema economico promettendo sgravi fiscali a ogni piè sospinto. Prima si è cominciato con l'abolizione del bollo auto (surrogato da un incremento delle accise), poi con l'Ape (anticipo pensionistico) e, infine, con l'anticipo del taglio Irpef. Per quanto le misure di riduzione delle tasse siano sempre lodevoli nel caso di Renzi difetta, come al solito, la copertura finanziaria. Senza un adeguato taglio della spesa pubblica è molto difficile mantenere le promesse. Infatti, la possibilità di uscire prima dal lavoro nel 2017 è limitata ai nati tra 1951 e il 1953 e coloro che lo faranno su base volontaria (cioè non saranno coinvolti da ristrutturazioni aziendali) dovranno ricorrere al prestito pensionistico, cioè un finanziamento bancario di cui lo stato rimborserà gli interessi. In questo modo la spesa si conterrebbe a meno di un miliardo, ma scontentando molti.
Allo stesso modo, l'impiego di 3 miliardi per la limatura delle aliquote al 27 e al 38% dell'Irpef avrà effetti ridotti considerata la platea amplissima di contribuenti. Eliminare le aliquote del 38 e del 41% che colpiscono i redditi medi, garantendo sconti ben superiori ai mille euro a cittadino, costa circa 45 miliardi. Né Renzi né il ministro dell'Economia Padoan ce li hanno.
Tutti e due sanno che irritare Bruxelles non conviene: l'Italia continua a essere
sotto esame. Anche per questo motivo la trattativa con l'Ue sulla riallocazione dei migranti e quella sul contrasto alle partenze di barconi dall'Africa procedono a singhiozzo. Sarà colpa di maggio e delle spine delle rose.
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