L'uso dello spray al peperoncino, in dotazione alla Polizia di Stato, può essere un'arma a doppio taglio senza i dovuti corsi di formazione anche per gli operatori sanitari. A rilevarlo gli agenti di Pistoia, che hanno scritto al questore della città toscana per chiedere che anche i volontari delle ambulanze, i vigili del fuoco e il personale del pronto soccorso siano informati riguardo agli eventuali rischi derivanti dall'uso del capsicum. La Direzione centrale per gli affari generali del ministero dell'Interno, lo scorso 29 novembre, ha stabilito l'adozione di un programma didattico comune per la formazione/informazione del personale, indicando che devono essere trattati anche i criteri giuridici sull'uso dei dispositivi in questione. A Pistoia i corsi sono stati fatti, ma il problema qual è? Che «nessun funzionario è stato invitato - si legge nella nota inviata al questore - a trattare gli aspetti giuridici». Peraltro, quando «si è costretti a usare lo spray gli effetti dello stesso durano tra i 40 e i 60 minuti, pertanto chiunque entri in contatto col soggetto su cui si è usato, si contamina. In caso di malore si contaminano anche gli addetti del 118, i poliziotti stessi, il personale del pronto soccorso, i vigili del fuoco e così via». I fastidi vanno da un semplice prurito all'irritazione degli occhi e delle mucose.
«Ecco perché - spiegano gli agenti iscritti al Sap (sindacato autonomo di polizia) - sarebbe necessario informare sulle eventualità il personale sanitario che si trovi a intervenire. Peraltro, se un delinquente su cui si è spruzzato lo spray al peperoncino dovesse trovare qualche medico consenziente e poco informato, potrebbe venir refertato per diversi giorni quando l'irritazione dura al massimo 60 minuti e i colleghi potrebbero addirittura finire sotto processo».
Ogni volante, dotata di capsicum ha in dotazione anche un kit di decontaminazione, ma basterebbe dell'acqua per placare gli effetti dello spray. Acqua che, però, sulle auto non c'è. D'altronde, è il segretario generale del Sap, Gianni Tonelli, a spiegare che il problema «è comune a tutti i commissariati d'Italia. Questi strumenti sono stati concepiti per evitare il contatto della terza persona con le forze dell'ordine al fine di evitare eventuali responsabilità. Purtroppo - prosegue - le distorsioni del nostro sistema fanno sì che i colleghi possano finire a processo perché la terza persona potrebbe dire che lo spray sia stato utilizzato arbitrariamente e senza giusta causa». I casi da citare sarebbero tantissimi. «Uno è quello del caso Narducci a Forlì - conclude Tonelli - dove gli agenti sono finiti in tribunale per la denuncia presentata un anno e 4 mesi dopo da un tossicomane.
Insomma, oltre a informare giuridicamente e a fare corsi per gli operatori, credo sia fondamentale mettere telecamere sulle divise. Siamo troppo esposti a rischi e anche le armi in dotazione possono diventare qualcosa che ci si ritorce contro».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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