U n leader sbiadito, privo di esperienza politica e inadatto a realizzare le riforme attese dal Paese. Così l'ambasciatore degli Usa a Roma, John Phillips, affondava Piero Grasso, ventilando un governo affidato all'ex magistrato dopo il terremoto del referendum costituzionale. È il 5 dicembre 2016, giusto un anno fa, e Phillips in una serie di report inviati al Dipartimento di Stato a Washington spiega che cosa potrebbe accadere nella penisola. Gli scenari della politica tricolore sono cambiati dopo la batosta subita da Renzi con il no popolare alle sue proposte. E l'ambasciatore, nei documenti di cui il Giornale è venuto in possesso, coglie il cambiamento. Anzitutto bacchetta Renzi per aver personalizzato la sfida elettorale, poi silura un ipotetico esecutivo Grasso, ipotizzando invece un governo guidato da uno dei leader del Pd, da Delrio a Franceschini. Curiosamente Phillips non cita nemmeno di striscio l'attuale premier Paolo Gentiloni, evidentemente fuori dai suoi radar. Il diplomatico si complimenta, invece, con gli italiani che hanno dato un calcio al loro proverbiale cinismo. Una considerazione sorprendente perché la leadership a stelle e strisce, a cominciare dal presidente uscente Barack Obama, si è schierata a favore di Renzi e della sua scelta referendaria.
Ma Phillips, a 24 ore dal disastro renziano, guarda già oltre e mostra di apprezzare i risultati delle urne: «Gli italiani hanno dimostrato ancora una volta di essere legati alla loro costituzione, una rara magnanimità civica in un Paese meglio conosciuto per la sua apatia e per il suo cinismo». Questa volta gli italiani hanno bocciato Renzi, ridimensionando le ambizioni del premier fiorentino che il 7 dicembre si dimetterà.
Il leader, spiega Phillips, «ha sopravvalutato il suo consenso personale e sottovalutato la disperazione economica e sociale del Paese». In definitiva, prosegue l'ambasciatore, «all'inizio di quest'anno Renzi ha sbagliato a personalizzare in maniera così esplicita il referendum, ha compiuto un passo falso e poi non è più riuscito a tornare indietro». Un'analisi impietosa che lascia poi il posto al totonomi per Palazzo Chigi. E qui, in poche righe, Phillips sembra spegnere le velleità di Grasso, oggi in pole position per la guida della Cosa rossa che verrà lanciata domani: «Grasso, un ex magistrato con praticamente nessuna esperienza di governo, rappresenterebbe una blanda scelta istituzionale, debole nell'ottica della riforma dell'economia e sotto la prospettiva della politica estera».
Insomma, per Philips, che con l'arrivo di Donald Trump ha lasciato l'incarico, Grasso non aveva alcun appeal. Appena meglio Pier Carlo Padoan: «Uomo stimato ma privo di carisma: la sua sarebbe sicuramente una scelta tecnocratica per tranquillizzare i mercati finanziari e l'Europa».
Curiosamente, per il diplomatico la figura più accreditata per prendere il posto di Renzi era alla fine dell'anno scorso Graziano Delrio, seguito a ruota da Dario Franceschini. L'ambasciatore nelle carte, ora all'esame del professor Andrea Spiri, studioso dei rapporti fra Roma e Washington, non spende nemmeno una parola fa per Gentiloni, in carica dal 12 dicembre scorso.
C'è invece una riflessione sui Cinque stelle che in quei giorni concitati chiedono ripetutamente di andare subito al voto. «Secondo molti osservatori - è la conclusione tranchant - quell'appello al voto è un bluff».
Ma «chiedendo le elezioni anticipate malgrado l'impossibilità tecnica di tenerle, il Movimento può raccogliere i benefici del ritardo senza prendere parte ai mercanteggiamenti politici cui i suoi membri si oppongono in maniera viscerale».
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