Lo Stato si è arreso, Giuseppina no. A 80 anni spera ancora di trovare almeno i resti

Tullio De Micheli era titolare di una piccola fonderia con diciassette operai a Mornago (Varese). Un uomo mite, abitudinario e preciso dalla vita tranquilla: una moglie due figli e i nipotini che adorava. Il 13 febbraio 1975 tutto cambiò. Quella sera il sessantenne era atteso per festeggiare in famiglia il compleanno di Gianni, marito della figlia Giacomina; lo aspettavano per le sette. Ma alla porta della casa di via della Stazione quella sera Tullio De Micheli non arrivò mai. Il campanello suonò alle 19.15, ma dall'altra parte della porta c'erano i carabinieri che comunicarono la notizia che pochi minuti prima la Peugeot 200 dell'imprenditore era stata trovata a poche centinaia di metri sulla salita che da Oltrona al Lago porta a Comerio. Era stata abbandonata in mezzo alla strada con la portiera aperta ed un finestrino rotto. Si poteva pensare a un sequestro, non era la prima volta che qualcuno aveva cercato di rapire De Micheli.

Esattamente un anno prima alcuni banditi ci avevano provato. Fallendo. Lui aveva naturalmente sporto denuncia raccontando come uno di quei tizi assomigliasse a un suo ex operaio, tale Giuseppe Milan, un tipo violento e prepotente, licenziato proprio per le sue intemperanze. Furono quelli anni terribili per la provincia di Varese che divenne epicentro di una serie di drammatici fatti di cronaca legati ai sequestri di persona: il primo fu il giovane Emanuele Riboli, poi Cristina Mazzotti e per finire il 17 febbraio del 1989 Andrea Cortelezzi.

Nessuno di loro fece più ritorno a casa.

Se da una parte la denuncia di De Micheli venne sottovalutata, la medesima notizia fu in realtà amplificata dai mass media che involontariamente lo fecero apparire come un industriale di primissimo piano. «Niente di più falso», racconta Giacomina figlia oggi ottantenne dell'industriale sparito.

«Eravamo benestanti ma non miliardari e il sensazionalismo dei giornali certo non ci aiutò. Anzi peggiorò le cose».

Giacomina De Micheli ha gli occhi che si bagnano dalla commozione e parla del rapimento del padre ancor oggi, come l'evento che ha sconvolto per sempre la vita della sua famiglia.

I rapitori chiesero tre miliardi di riscatto, una cifra abnorme che non era nelle possibilità della famiglia. I sequestratori telefonarono più volte dalla cabina telefonica di Piazza Monte Grappa di Varese per mettersi in contatto con i familiari finché questi ultimi chiesero una prova che il padre fosse ancora vivo. Era il 25 febbraio, da quel giorno calò il silenzio. Da 40 anni nessuna notizia di Tullio De Micheli. nemmeno il suo corpo è stato mai trovato.

Indagini svolte con leggerezza e superficialità; riscontri mai accertati e una disattenzione sospetta Alle falle investigative si accompagnarono atteggiamenti quasi estorsivi da parte dello Stato che, vista la richiesta di riscatto, fece, con la Finanza, una serie di accertamenti fiscali presupponendo l'esistenza di chissà quale patrimonio. tanto che lo Stato chiese il pagamento delle tasse benché la ditta stesse ormai fallendo. La moglie di Tullio De Micheli impazzì di dolore, arrivando a invidiare le amiche che potevano andare al cimitero a pregare sulle tombe dei loro defunti.

Il nipotino più grande dell'imprenditore diceva: «Mi hanno rubato il nonno». Giacomina, la figlia maggiore, invece ha combattuto questo dolore senza fine con al fianco il marito, Gianni Bianchi. Lui è venuto a mancare pochi mesi fa. «I due uomini della mia vita se ne sono andati via troppo presto», racconta la donna, che fino al 2001 è stata per due mandati sindaco, amato ed apprezzato, di Comerio.

La latitanza delle Istituzioni e la leggerezza delle indagini trovarono la loro massima espressione quando nel 1995 per il rapimento del De Micheli fu condannato a diciannove anni di carcere quel Giuseppe Milan che era stato già accusato dall'imprenditore il tentato rapimento di un anno prima.

Ma quella condanna non bastò a far luce su cosa fosse veramente accaduto. E soprattutto a permettere di ritrovare i resti della vittima. Giacomina, però non s'arrende. Lo considera il suo ultimo «mandato».

Twitter: @terzigio

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