La riunione è deragliata su altri temi, ma l'ordine del giorno incombe. E la settimana prossima i tagli, i primi, dovrebbero diventare realtà. Lo Stato, attraverso il tavolo della Conferenza con le Regioni, comincia a limare le unghie alle spese per la cosiddetta «mobilità sanitaria interregionale». Diventerà sempre più difficile spostarsi per una prestazione specialistica o per un intervento chirurgico complesso verso le grandi cattedrali della medicina. Il fronte del Sud, quello che chiude sempre i conti con disavanzi vertiginosi e offre purtroppo prestazioni di bassa qualità, vuole rovesciare la situazione. Ma invece di alzare l'asticella dei servizi ecco che si imbocca la strada dei blocchi, dei divieti, dei bastoni fra le ruote.
«Noi - spiega Giulio Gallera, assessore uscente della Lombardia e con ogni probabilità ancora alla sanità nella prossima giunta Fontana - abbiamo sempre difeso il principio della libertà di movimento e di cura. Siamo orgogliosi di avere strutture all'avanguardia, pubbliche e private, e riteniamo che questi centri d'eccellenza siano nella disponibilità di tutto il Paese. Se un calabrese o un siciliano vuol venire in queste strutture, perché dovrebbe essergli impedito?».
Una domanda retorica che non dovrebbe ammettere repliche e invece i pozzi sono stati avvelenati, fra una stretta e una manovra finanziaria, in un diluvio di tabelle e di formule burocratiche sfuggite ai sensori dell'opinione pubblica. «Ha cominciato il governo Monti - spiega Gallera - colpendo la mobilità verso gli ospedali privati accreditati». Quelli della Lombardia, che da sola calamita circa 160 mila pazienti l'anno, e l'Emilia Romagna, le due regioni di gran lunga in testa al ranking di questi flussi. «La Lombardia ha cercato di resistere e di fatto non ha applicato queste regole restrittive della libertà - aggiunge l'assessore - ma a quel punto il governo Renzi ha ribadito con la legge di Stabilità del 2016 che si deve procedere in quella direzione e la Consulta ha in qualche modo avallato la mossa, chiarendo che si può andare dove si vuole, ma compatibilmente con le risorse a disposizione».
Dunque i primi rimborsi sono già saltati l'anno scorso e altri salteranno quest'anno. Per ora si toglie in modo forfettario, con una sforbiciata che dovrebbe essere nell'ordine dei 30 milioni per la sola Lombardia. Ma questo è solo l'antipasto. Il fronte del Sud vuole fermare i viaggi della speranza e l'unico modo sembra quello di alzare muri sempre più alti. E fortificati.
È una manovra a tenaglia che potrebbe scattare nei prossimi mesi. Da una parte si scava per svuotare almeno in parte la cosiddetta alta complessità. Insomma. Basta intendersi: una prestazione che finora era classificata appunto come tale potrebbe essere rivista e derubricata a bassa complessità. A quel punto anche il rimborso potrebbe diventare un optional. Dall'altra parte di va all'attacco degli Irccs, gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, l'eccellenza dell'eccellenza, per ora fuori dal girone dell'austerity. Ma anche per queste realtà che danno lustro all'Italia - e basterebbe fare i nomi dello Ieo, dell'Humanitas, del Policlinico San Donato, del Galeazzi, dell'Auxologico o del San Raffaele per rimanere a Milano - i tempi potrebbero cambiare. I critici, che non vogliono guardare in casa propria, sostengono che anche queste cittadelle della salute svolgano prestazioni a bassa complessità e ci sia insomma la possibilità di eliminare qualcosa pure a quelle latitudini.
La partita è aperta. In apparenza tecnica, nella sostanza politica. E le prospettive, come ha detto ieri al Giornale Gabriele Pelissero, presidente dell'Aiop, il potente network che accomuna circa 500 strutture private, sono inquietanti.
Traballa per esempio tutto il comparto dell'ortopedia che da solo vale il 28 per cento del fenomeno, valutato nel suo complesso 4,6 miliardi di euro. Presto, molto presto l'impianto di una protesi al ginocchio o all'anca a Milano o Bologna potrebbe non essere più scontato come è stato finora.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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