Molti hanno sperato che il diciottenne tedesco-iraniano Ali Sonboly, l'attentatore di Monaco, fosse un neo-nazista che, nel quinto anniversario della strage di Oslo e Utoya con il massacro di 77 persone, intendesse emulare e esaltare l'atroce crimine di natura razziale perpetrato da Anders Behring Breivik. Molti hanno sperato che l'assassinio a freddo di nove bambini e ragazzi fosse opera di uno squilibrato. Molti hanno sperato che non ci fosse alcun legame con l'Isis, lo «Stato islamico» che gestisce e rivendica quasi tutti gli attentati terroristici islamici ovunque nel mondo. Molti hanno sperato che non si trattasse in alcun modo di un terrorista islamico. Molti avevano un'unica vera preoccupazione: assolvere costi quel che costi l'islam, perché ancor più dei nostri morti, ancor più della guerra che imperversa dentro casa nostra, ancor più della paura che ormai si è impossessata di noi, ciò che veramente ci terrorizza è il dover guardare in faccia alla realtà dell'islam, perché aprioristicamente rifiutiamo l'idea di dover combattere per sconfiggere la radice del male, l'ideologia che giustifica il terrorismo islamico, legittimando l'odio, la violenza e la morte nei nostri confronti, conformemente a ciò che Allah prescrive letteralmente e integralmente nel Corano e a ciò che ha detto e ha fatto Maometto.
Ormai in Europa chi ci governa, tranne Matteo Renzi in Italia, dice apertamente o è comunque convinto che «siamo in guerra», anche se poi concretamente non solo non stiamo combattendo un nemico autoctono e endogeno, ma continuiamo a lasciare campo libero ai terroristi islamici, denunciando vistose falle sul piano della sicurezza ogni qual volta siamo costretti alla dolorosa conta dei nostri morti. La verità è che facciamo finta di imporre lo stato di massima allerta, mentre sostanzialmente i terroristi islamici continuano a fare ciò che vogliono.
Molti hanno tirato un sospiro di sollievo perché gli inquirenti tedeschi ci assicurano che non è un attentato terroristico islamico, che lo stragista non ha legami con l'Isis, che quindi l'islam non c'entra nulla con questo massacro. Molti si sentono rincuorati dalle notizie che indicano l'attentatore come una personalità fragile, che ha denunciato di essere stato vittima del bullismo, che era in terapia psichiatrica per crisi depressive. Molti sono persino incoraggiati dalla dichiarazione del Capo della Polizia di Monaco, Hubertus Andrae, secondo cui «è evidente il legame» dell'eccidio di Monaco con la strage di Utoya. Molti ora potranno addebitare la colpa della strage all'emarginazione, discriminazione e molestie di cui il giovane attentatore sarebbe stato afflitto, o all'ideologia neo-nazista, razzista, xenofoba, islamofoba, populista, nazionalista che permea il fronte dell'estrema destra, additata come il vero nemico da combattere.
Così come l'uccisione accidentale di un nigeriano a Fermo nel corso di una rissa con un italiano, colpevole di un'offesa razziale ma costretto a difendersi, ha seppellito nell'oblio i nove italiani massacrati dai terroristi islamici a Dacca, la strage dalla matrice incerta di Monaco viene strumentalizzata per far calare i toni sulla guerra del terrorismo islamico.
Molti non comprendono che mentre possiamo liberarci dalle ingiustizie sociali o dalla violenza politica, tutti noi saremo definitivamente sottomessi all'islam se non sconfiggiamo il terrorismo islamico.magdicristianoallam.it
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