Strasburgo, la Corte non decide e archivia il ricorso di Berlusconi

Cinque anni per non emettere nessuna sentenza. Sul caso nemmeno la Corte europea dei diritti dell'uomo fa giustizia

Strasburgo, la Corte non decide e archivia il ricorso di Berlusconi

“La Corte decide di cancellare la causa dal ruolo”. Diciassette giudici, diciannove avvocati, un apparato enorme e costoso di cancellieri, interpreti e addetti stampa, e soprattutto cinque anni di attesa. Tutto inutile. Il tentativo di Silvio Berlusconi di avere a Strasburgo la giustizia che non ritiene di avere avuto in Italia si infrange contro i ritmi biblici della Corte europea dei diritti dell'Uomo, che in questo caso - come in molti altri - non è riuscita a prendere una decisione in tempo utile perché avesse ancora un senso. Alle 11 di questa mattina la Corte ha reso noto che del caso 58428/13 "Berlusconi contro Italia" non c'è più niente da decidere. Il ricorrente, ovvero l'ex premier, ha ritirato la sua richiesta nel luglio scorso, dopo avere ottenuto dal tribunale di Milano la riabilitazione che lo ha fatto tornare eleggibile a tutti gli effetti. I. La Corte di Strasburgo avrebbe potuto andare avanti per la sua strada ed emettere comunque la sentenza, stabilendo principi di civiltà giuridica che sarebbero divenuti punti di riferimento per tutti i paesi che ne riconoscono l'autorità. Invece ha colto di buon grado l'opportunità di non pronunciarsi. Caso chiuso. Una decisione era già stata presa, ma non sapremo mai (almeno ufficialmente) quale fosse.

Berlusconi si era rivolto alla Corte nel 2013, quando era divenuta definitiva la sua condanna nel processo per i diritti TV e il Senato aveva votato a maggioranza, in applicazione della legge Severino, la sua decadenza dalla carica parlamentare. Si era trattato, secondo il Cavaliere, di una decisione essenzialmente politica, che privava uno dei principali partiti italiani della rappresentanza istituzionale del suo leader. Ai giudici di Strasburgo Berlusconi aveva chiesto di annullare la sua interdizione per più di un motivo: il principale, l'applicazione retroattiva nei suoi confronti di una norma, la Severino, approvata dopo la commissione dei reati. Un anno fa, nel corso della prima e unica udienza pubblica nel capoluogo alsaziano, era parso che una parte degli argomenti del Cav avessero fatto breccia in alcuni dei giudici. Ma oggi la Corte ha deciso di non decidere.

La rinuncia al ricorso era stata decisa da Berlusconi, d'intesa con i suoi legali, sulla base di un semplice calcolo dei rischi e dei vantaggi. Una decisione favorevole della Corte avrebbe indubbiamente costituito una vittoria morale, sancendo irrevocabilmente l'ingiustizia della sua cacciata dal Senato, ma non avrebbe avuto alcuna conseguenza concreta. Ma c'era anche la possibilità di una pronuncia negativa, che avrebbe dato nuova linfa ai teorici della "impresentabilità" del Cavaliere. Nel dubbio, il leader azzurro ha preferito non rischiare. In agosto, ma lo si apprende solo ora, il governo Conte si era rimesso alla decisione della Corte sulla opportunità di andare avanti o fermare tutto.

La decisione porta la sola firma della presidente della corte, la tedesca Angelika Nussberger, e dà atto che i diciassette giudici si sono spaccati, tanto che alla fine le conclusioni sono state raggiunte “a maggioranza”.

Alcuni dei componenti, evidentemente, ritenevano che ci fossero buoni motivi per pronunciare una decisione che - in un senso o nell’altro - avrebbe stabilito un precedente significativo sulle questioni cruciali che il ricorso sollevava nei rapporti tra politica, giustizia e diritti civili. Invece la decisione si limita a riportare dettagliatamente i passaggi della vicenda, le argomentazioni della accusa e della difesa. E a dire che alla fine non c’è piu’ niente da decidere.

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