I grillini, soprattutto quelli più vicini a Luigi Di Maio, lo vanno ripetendo da un po': «Rischiamo di tornare al voto soltanto se non riusciamo a superare lo scoglio della prossima manovra economica». Le frasi, scandite nei capannelli, sono rivelatrici della strategia del M5s rispetto alla Lega. I passaggi sono due: mandare avanti Matteo Salvini sulla flat tax sperando in uno scontro contro l'Europa, quindi aspettare sul fiume che passi il cadavere dell'alleato. Si tratta dei nuovi rapporti di forza interni all'esecutivo richiamati dal premier Giuseppe Conte nel suo «discorso alla nazione», parole che si dice siano state concordate nei contenuti con lo Staff dei Cinque Stelle. E in effetti, lo sbilanciamento degli equilibri in favore del Carroccio, se ben sfruttato, può trasformarsi in un asso nella manica di Di Maio.
Così, dopo la batosta delle europee, anche sul piano della comunicazione gli stellati sono pronti a «scomparire», serbando la speranza che i leghisti, nel ruolo di portabandiera del governo, abbiano più occasioni per andare a schiantarsi. Una di queste, stando a quanto riferiscono al Giornale fonti interne al Movimento, potrebbe essere la flat tax. Evocata, ultimamente, in alcune dichiarazioni pubbliche di pezzi da novanta grillini, come Paola Taverna, il capogruppo alla Camera Francesco D'Uva e lo stesso Di Maio. Ecco spiegato da un insider il motivo del via libera: «Ora c'è una nuova strategia, lasciare Salvini da solo sulla flat tax, mandarlo avanti contro i burocrati e fare da spettatori passivi, senza muoversi e senza fiatare». A differenza di quanto fatto quando toccava varare il reddito di cittadinanza, con il M5s pronto a sforare il 3% e in guerra aperta contro i vincoli imposti dall'Unione Europea.
Infatti, dati gli scarsi risultati elettorali della tattica del botta e risposta con Salvini, il Movimento sembra tornato ad appiattirsi sui temi imposti dalla Lega, senza fiatare appunto. E puntualmente è ripartito il fuoco amico. Non solo di Roberto Fico e dei suoi agguerriti accoliti, ma hanno cominciato ad agitarsi anche Alessandro Di Battista e Gianluigi Paragone, molto più temuti dal capo politico rispetto al presidente della Camera, considerato dal cerchio magico del vicepremier stellato «una persona con poca ambizione politica per poter fare davvero il leader».
Per Di Maio restano da fare i conti con Davide Casaleggio, da tempo infastidito dalla «romanizzazione dei barbari» che avrebbero dovuto aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno. Sperando che Salvini «si schianti e non porti a casa il trofeo che i suoi elettori vogliono».
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