Roma - C'è chi l'ha chiamato «piano B» e chi si è avventurato a definirlo «partito», ma un dato è acquisito: non sono pochi coloro che a Roma vedrebbero bene uno smarcamento del sindaco Virginia Raggi dalla tutela del Movimento 5 Stelle. Anzi, nella Capitale c'è chi fa addirittura il tifo per l'extrema ratio grillina: il ritiro del simbolo M5S e il conseguente abbandono della prima cittadina al suo destino. Che potrebbe essere tutt'altro che travagliato.
Vediamo perché. In primo luogo, è stato il premier Matteo Renzi a far sapere che se Raggi dice di no alle Olimpiadi, «Roma si taglia le gambe da sola». Un modo abbastanza garbato rispetto alla proverbiale tracotanza renziana per far capire al sindaco che il governo è pronto ad anticipare alcune spese che l'amministrazione comunale, al momento, non è in grado di sostenere. O per dirla con le parole del presidente della Confindustria del Lazio, Maurizio Stirpe: non si può «dire no a 5,5 miliardi di euro di investimenti che ne produrrebbero 7 di ricavi». In realtà, questo fatidico «no» Raggi non l'ha ancora pronunciato anche se Beppe Grillo (e prima ancora Alessandro Di Battista) lo ha fatto in sua vece.
In fondo, la prima cittadina non si è piegata completamente ai diktat del supremo blog. Basti pensare che l'allontanamento di Raffaele Marra dalla carica di vice capo di gabinetto non è coincisa con una defenestrazione dell'amministratore sgradito alla base «sinistra» del Movimento in virtù dei trascorsi alemanniani. Marra è infatti diventato capo del personale del Comune, insediandosi in una posizione strategica. E lo stesso vale per Paola Muraro, l'assessore all'Ambiente ancora al proprio posto nonostante sia indagata (a differenza di De Dominicis). Ella è il vero punto di contatto con quel milieu che nella Capitale ha sempre contato parecchio, partendo dal «re dei rifiuti» Manlio Cerroni per finire con il sottobosco amministrativo-dirigenziale pubblico che nella Capitale prospera indipendentemente dal colore dei partiti di governo.
Occorre poi ricordare che in questi pochi mesi Raggi s'è guadagnata la simpatia di un mondo che al grillismo non è sicuramente omogeneo come la Chiesa di Roma. Ove per «Chiesa» non si intende solo la vocazione pauperista di Papa Francesco ma soprattutto la Curia romana, tranquillizzata dal fatto che il sindaco non s'è dimostrato giacobino come i suoi colleghi del Movimento, non facendo mai cenno alcuno all'inasprimento dell'Imu sulle proprietà immobiliari ecclesiastiche.
Insomma, un eventuale «partito di Virginia» potrebbe rappresentare l'uovo di Colombo. In primis perché si potrebbe ripartire con gli investimenti infrastrutturali, a partire da quelli per le Olimpiadi (Città dello Sport, alla riqualificazione dello stadio Flaminio, del Palasport, completamento dell'Anello Ferroviario e della Metro C). In secondo luogo, si potrebbero coinvolgere attori politici ed economici tagliati fuori dalle fatwa grilline.
In fondo, la stessa Raggi, per esperienza lavorativa (Studio Sammarco) e personale (proviene da una famiglia piccolo borghese), è in sé estranea al mondo pentastellato con i suoi revanscismi e le sue ossessioni. La cocciutaggine nell'opporsi alle imposizioni del direttorio un po' lo testimonia. Anche se è chiaro che uno dei principali sostenitori di questo nuovo partito non potrebbe che essere Matteo Renzi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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