Per cominciare partiamo da Minniti. «Quando ritorna una nave della guardia costiera libica che ha salvato delle persone in acque territoriali libiche - dichiara l'ex ministro dell'Interno intervistato il 28 giugno a Ominibus su La7 - sulle banchine del porto di Tripoli ci sono (...) dei volontari libici e non libici, con le pettorine delle Nazioni unite. Accolgono i migranti come avviene nei porti italiani. Cioè le Nazioni unite sono presenti a Tripoli». Se temete che Minniti non dica la verità guardate il tweet e il video, diffuso dall'Oim (Organizzazione Internazionale per i Migranti) alle di 23 lunedì, poche ore prima dell'attracco a Tripoli del rimorchiatore Asso 28. «I team di Unmigration - annuncia il tweet - sono sul posto per fornire immediata assistenza. Siamo pronti a fornire sostegno anche per gli altri migranti attesi questa notte». Ovvero a quelli di Asso 28. Detto ciò suona perlomeno singolare il tweet con cui la sezione italiana dell'Alto Commissariato Onu per i Rifugiati annuncia di star «raccogliendo tutte le informazioni necessarie sul caso del rimorchiatore italiano». Un tweet in cui si spiega che: «La Libia non è un porto sicuro e questo atto potrebbe comportare una violazione del diritto internazionale». Il tweet non è soltanto fazioso, ma anche ridicolo. Se Tripoli non è un porto sicuro come mai l'Onu non si vergogna di esibire le proprie insegne sui suoi moli? Come mai non teme di mettere a rischio dei «volontari» impegnati in un contesto «insicuro»? Semplicemente perché l'Onu fuggito a gambe levate dalla Libia nel 2014 c'è tornato grazie a una missione italiana che gli ha garantito tutta la sicurezza possibile. Ma c'è anche da chiedersi su quali basi l'ufficio romano dell'Unhcr contesti le affermazioni di un Minniti fermissimo nell'equiparare, anche da rappresentante dell'opposizione, l'assistenza offerta nei porti libici a quella garantita nei porti italiani. Tanto da dirsi convinto, nella stessa intervista, che ormai sia «possibile stabilire lì in Libia chi ha diritto alla protezione internazionale. Ne hanno già selezionati 1.500. L'Italia ne ha già accolti 320, mamme e bambine, portati con i corridoi umanitari». Insomma la Libia non solo è sicura, ma i centri gestiti a Tripoli da Onu e Oim hanno, grazie all'intervento italiano, ben poco a vedere con i centri di detenzione illegali in mano dalle gang criminali. Anzi sono funzionali a separare i migranti destinati al rimpatrio dai richiedenti asilo meritevoli di venir trasferiti in Europa a bordo di navi e aerei di linea. Come è infatti avvenuto a 320 richiedenti asilo citati dall'ex ministro. Ma la succursale romana dell'Alto Commissariato, famosa per esser stata il trampolino da cui Laura Boldrini ha spiccato il salto nella politica, avrebbe altre ottime ragioni per tacere. Le considerazioni sull'eventuale illegittimità della rotta verso Tripoli di Asso 28 sono infatti assolutamente irrilevanti. Le leggi del mare attribuiscono al comandante di un'imbarcazione, e a nessun altro, tutte le decisioni riguardanti la destinazione della nave. Dunque non c'è, e non ci può essere, alcuna responsabilità dell'Italia o del suo governo. Anche perché, in effetti, nessun ordine è partito dal Viminale o da altre sedi di governo. E l'Imrcc, il centro nazionale per il coordinamento del soccorso marittimo di Roma ha lasciato ogni competenza alla Guardia Costiera di Tripoli. Questo perché da agosto 2017 è operativa davanti alle coste di Tripoli una Sar (Zona di salvataggio) governata dalla Guardia Costiera libica.
Una Sar dove - in base alla Convenzione di Amburgo - i comandanti impegnati in un soccorso seguono le indicazioni fornite dall'autorità competente, la Guardia Costiera di Tripoli. E così ha fatto, fino a prova contraria, Asso 28.
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