Chiamatelo come volete, ma non «Air Force Renzi». Un po' perché il premier ci tiene a non presentarlo come cosa sua, ma come aereo di rappresentanza capace di trasportare nelle missioni diplomatiche all'estero l'intero sistema Italia, un po' perché l'intera operazione sfugge a ogni logica e ragionevolezza.
Il trasporto di imprenditori e manager al seguito dovrebbe giustificare l'ampia capienza (380 posti, da ridurre però dopo la rielaborazione degli interni) del nuovo aereo di Stato che Palazzo Chigi si è assicurato in leasing dagli arabi di Etihad. Eppure anche in occasione della storica visita in Iran appena conclusa, pur avendo portato con sé i rappresentanti di 55 imprese, il premier ha lasciato a casa il nuovo aereo.
L'imponente Airbus 340-500 resta inesorabilmente a terra, «parcheggiato» in un hangar dell'aeroporto di Fiumicino. Non a Ciampino, come il resto della «flotta blu», perché il bestione volante acquistato da Renzi, in caso di voli intercontinentali ha bisogno di una pista più lunga per il decollo: per non fare scali, movente ufficioso dell'acquisto, deve viaggiare appesantito da adeguate scorte di carburante.
Dietro il mancato decollo c'è un pasticcio che è il segno distintivo di tutto questo affare coperto, e pian piano si comincia a capire perché, da un'aura di segretezza del tutto inopportuna, visto che si tratta di soldi pubblici. E non pochi: 1.300.000 euro al mese per non volare.
Ecco le cifre dopo anni di tagli, nel bilancio 2015 della Difesa la voce relativa al «trasporto aereo di Stato» è aumentata di 15 milioni, in larga parte collegabili alle spese dovute al leasing e alla gestione dell'aereo. Il Fatto Quotidiano si è esercitato con i calcoli: stimando in 5-6 milioni il budget per la riconversione interna dell'Airbus, che serve a creare gli ambienti di riposo e di lavoro a disposizione di Renzi e del suo staff, rimangono all'incirca 9 milioni. Date queste cifre, significherebbe che il leasing sarà pagato agli arabi di Etihad a cifre stratosferiche, molto al di sopra di quelle di mercato, circa 40mila euro al giorno, cui vanno aggiunte le spese per il rimessaggio dell'aereo in un capannone a Fiumicino, che ammonterebbero, stando a indiscrezioni a 1,2 milioni all'anno, sommati ai 15 di costi vivi fa 1,3 milioni al mese, quasi 44.000 euro al giorno. E pensare che su Globalplanesearch.com, una specie di eBay degli aerei, un Airbus 350-500 del 2006, stesso anno del «nostro», è in vendita a Singapore per 50 milioni, quanto soli tre anni di leasing.
Tante spese per non volare, perché l'aereo è impantanato in intrecci burocratici che Palazzo Chigi e la Difesa non sono ancora riusciti sciogliere. A partire dal fatto che nessun pilota del 31esimo stormo dell'Aeronautica, tenuta fino all'ultimo all'oscuro dell'operazione, è abilitato alla guida del possente jet. Un'aliquota di piloti del reparto incaricato dei voli blu ha quindi appena concluso un apposito addestramento con i simulatori negli Emirati. Manca però l'addestramento in volo, al momento impossibile, perché l'Airbus 340-500 non è immatricolato né assicurato per il volo in Italia. È atterrato a Roma con ai comandi piloti di Etihad e con matricola emiratina ma ora andrebbe immatricolato come aereo militare, ipotesi sgradita ai proprietari arabi. Dunque è aperta la caccia a una soluzione legale.
Si parla anche della possibilità di costituire una società non commerciale apposita, cui distaccare i piloti, ma è una via complicata: sebbene l'abbia ideata il generale Carlo Magrassi, ex consigliere militare di Renzi e ora segretario generale della Difesa. Sarebbe come se Palazzo Chigi si facesse una compagnia aerea. E tutto per l'Air Force Immobile.
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