Quel tabù della sinistra sulla legittima difesa. Ecco come l'ha affossata

Dai Ds a Rifondazione, sin dal 2004 hanno detto no alla norma: «È licenza di uccidere»

Quel tabù della sinistra sulla legittima difesa. Ecco come l'ha affossata

Per la sinistra la difesa è sempre relativa e mai legittima. È dai tempi della Quercia che i democratici hanno iniziato ad alzare le barricate ogni volta che nel dibattito politico faceva capolino il tema della sicurezza. Attacchi a muso duro, meline, accuse di far west. È l'ennesima prova della distanza dal popolo, della mancanza di sensibilità verso un tema delicato ma sentito dai cittadini. Basta andare indietro negli anni per trovarne dimostrazione.

Quando nel 2004 l'allora ministro della Giustizia, Roberto Castelli, insieme a Carlo Nordio, presidente della commissione per la riforma del codice penale, provarono a mettere mano alla norma, si alzò unanime il coro di critiche da parte del centrosinistra. «Difendo le norme vigenti, tanto più che anche la Corte di Cassazione, e ormai pacificamente, privilegia sempre il diritto di chi viene aggredito. Mi pare invece che si voglia anteporre la proprietà alla vita umana», sentenziò la diessina Anna Finocchiaro. Levata di scudi anche da parte di Giovanni Russo Spena di Rifondazione comunista: «Si tratta di una tentazione pericolosissima, che crea incertezza alle norme giuridiche e che abbatte istituti fondamentali dello stato di diritto». L'allora presidente dei Verdi, Alfonso Pecoraro Scanio, definì la proposta una «pericolosissima istigazione all'uso delle armi, una sorta di licenza di uccidere». Mentre il rifondarolo Giuliano Pisapia paventò il rischio dell'uso delle armi «anche nei confronti di chi si introduce in una abitazione non per aggredire, ma per errore o altri motivi».

Insomma, per la sinistra l'unica cosa giusta era lo status quo, cioè mantenere la legge in vigore, e non c'era alcuna urgenza di riformare la materia. Eppure, in quel periodo, un sondaggio effettuato dalla Simulation Intelligence ed eseguito dopo l'uccisione di un rapinatore montenegrino a opera di un gioielliere milanese, evidenziava come il 73% degli italiani intervistati ritenesse le norme troppo sbilanciate in sfavore di chi cerca di difendersi da un'aggressione. Le barricate continuarono anche quando nel 2006 venne approvata la legge sulla legittima difesa che allargava le maglie di reazione a un'aggressione anche ai propri beni materiali.

Per Luciano Violante si esponeva i cittadini «a violenze preventive da parte dei criminali»; Bertinotti parlò di «Far west»; la Finocchiaro di «spot della Lega» e Prc di «reintroduzione della pena di morte». D'Alema sentenziò rabbioso: «Bisogna rispondere a questo rigurgito reazionario della destra e dimostrare che sicurezza e umanità vanno di pari passo».

Nel gennaio 2006, l'allora esponente della Margherita, Nando Dalla Chiesa, oltre alle critiche però ammise: «La legge è ideologica e pericolosa ma affronta un problema serio che noi del centrosinistra abbiamo sottovalutato». Da allora si sono susseguite diverse proposte di legge del centrodestra per definire meglio la questione della legittima difesa. Ma sono rimaste lettera morta. Ne sa qualcosa Mariastella Gelmini, vice capogruppo vicario di Forza Italia alla Camera, che ieri ha denunciato: «Il Pd calendarizzi la mia proposta di legge ferma in commissione da due anni». Solo nell'ultimo anno qualcosa si è mosso tra le fila dei dem. Nell'ottobre 2015 Renzi ha aperto uno spiraglio affermando che sul tema della legittima difesa «si può discutere con il buonsenso perché stiamo parlando di una dinamica molto complessa da non affrontare sull'onda dell'emozione».

E nel marzo 2016, la Commissione giustizia ha approvato un emendamento Pd che tuttavia contempla la legittima difesa solo nel caso in cui l'errore di chi spara sia conseguenza di un grave turbamento psichico. Timidi segnali, ma ancora la strada è lunga.

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