«Ahooo, io nun so’ un politicooo». Sembra ieri che Paola Taverna rimbrottava gli abitanti della borgata romana di Tor Sapienza che la contestavano come un Renzi qualunque. Archeologia, vista la velocità con cui i grillini vanno smettendo le tute acetate di lotta per indossare il doppiopetto di governo. Se ce la fa anche lei, l’irriducibile Paola Taverna, la senatrice di cui Maurizio Gasparri disse «è la prova vivente che il Senato va abolito», ce la possono fare tutti. Il fatto che la sua nomina a vicepresidente del Senato, nel gran mercato delle trattative, sia passata quasi inosservata dà il segno dei tempi. E ora le scommesse sono aperte: ce la farà la parlamentare il cui eloquio sfiora la sindrome di Tourette a imitare Roberto Fico, di cui si dice che abbia anche il pigiama in grisaglia, o prenderà il sopravvento la vecchia Taverna, quella capace di trasformare il Senato in osteria? Lei, va detto, ci sta provando. Come prima cosa ha diffuso sul web una sua foto in giacca, con l’aria pensosa mentre ripassa la Costituzione, poi ha annunciato che anche lei rinuncerà all’indennità di funzione. Che differenza di stile rispetto a quello esibito sul palco di Ostia, quando urlava agli oppositori della Raggi: «Ma va a morì ammazzato, potevi fa la metro e ora rompi li cojoni perché volemo fa la funivia?». La foto da statista dev’essere apparsa così improbabile ai suoi fan che una manina perfida ha subito ritoccato l’immagine capovolgendo la Costituzione. Ma lei non si perderà d’animo per così poco. Alle critiche saprà replicare con garbo istituzionale, come quando definì il governo Gentiloni «una torta di letame» e chiosò la permanenza di Maria Elena Boschi e altri renziani al potere con parole immortali: «Si prevede l’innalzamento del livello di sicurezza dei fiumi per inondazione di vomito da chi con un NO pensava di esserseli levati dalle palle». Cosa succederà però quando sarà lei a presiedere e in aula ci sarà da zittire un provocatore, sedare un conflitto, fare da paciere tra due litiganti? I vicini di scranno temono che finisca per mettere in pratica un nobile detto romano che pare ispirare alcune delle sue più intense invettive: «Si tte sputo, te mprofumo» (tradotto: sei così infimo che se ti bersaglio con una mia formazione salivare, ti rendo migliore, ndr). E lei ha annunciato a più riprese l’intenzione di «mprofumare» gli avversari politici. Quasi un’ossessione. Fece scalpore quando lo rivolse a Silvio Berlusconi: «Un giorno di questi je sputo». L’espressione ebbe una tale eco che la senatrice pensò bene di concedere il bis, consigliando al Pd Stefano Esposito di «sputatte allo specchio alla mattina». Altro che «aula grigia e sorda». Con show come questi le dirette dal Senato avranno lo share di Zelig. Alla Taverna basterà ripercorrere il repertorio di questi anni, ma sul più visibile palcoscenico di seconda carica dello Stato. Agli ex M5s: «Fate pena... e pure un po’ schifo». Sulle candidature di Bernini e Casellati: «Fa bene Berlusconi, così dimostra che non frequenta solo mignotte». A Renzi: «Sta fuori come un balcone» e «dice solo minchiate». Nei momenti più alti, potrebbe dare anche sfogo alla sua passione, la poesia: «Proponi accordi strani e vedi prospettive / Mentre io guardo ’ste mmerde e genero invettive». Se invece cedesse alla tentazione di reprimere la sua natura più verace, per la prossima legislatura si potrà sempre ripiegare sulla sorella Annalisa, attivista M5s il cui talento non ha ancora ricevuto il giusto riconoscimento.
Ne diede l’assaggio l’anno scorso con un messaggio alla Raggi che farebbe arrossire Bombolo: «Hai rotto il cazzo, smettila di fare la bambina deficiente altrimenti te appendemo pe le orecchie sui fili dei panni». Chapeau.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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