Il tesoro del Duce dimenticato in un caveau

Gioielli, lingotti d'oro e cimeli sigillati in 419 sacchi nei depositi della Banca d'Italia

Il tesoro del Duce dimenticato in un caveau

Il collare della Santissima Annunziata donato dai Savoia a Mussolini, la tuta da meccanico indossata da Claretta Petacci nella fuga verso la Svizzera insieme al Duce, con i documenti, abiti e banconote in loro possesso prima di essere arrestati dai partigiani, decine di medaglie e onorificenze di Mussolini (tra cui la placca d'oro e brillanti dell'ordine dell'Aquila tedesca prodotta in un singolo esemplare apposta per lui e un medaglia pontificia probabilmente celebrativa dei patti Lateranensi), i beni di donna Rachele custoditi nella cassaforte di villa Mantero a Como, tesori appartenuti ai gerarchi fascisti (pietre preziose, argenterie, 4 dozzine di orologi da polso), un'enorme quantità di oggetti sequestrati a casa Savoia, collane, gemme, collier, rubini, lingotti di platino, poi l'«oro della Patria» (fedi, spille e monili donati dagli italiani del '35 per sostenere le guerre del regime), effetti personali rinvenuti tra le macerie del terremoto di Reggio Calabria del 1908, i titoli azionari del progetto «Baghdadbahn» (la ferrovia Berlino-Costantinopoli-Baghdad) e pure la documentazione relativa al «prestito Morgan» al Regno d'Italia.

Una collezione sterminata, di enorme valore storico, tenuta però ben nascosta in 419 plichi e circa duemila sacchi di juta («bisacce» le definisce il Tesoro), con tanto di sigillo ministeriale, dentro un stanza di sicurezza della Banca d'Italia. C'è abbastanza materiale per allestire un museo di storia nazionale, eppure tutto giace là sotto da decenni, trascurato come cianfrusaglie di poco conto. Non esiste neppure un inventario preciso degli oggetti perché l'unica ricognizione è stata fatta nel 2006, e soltanto su 63 plichi, una parte minima del patrimonio segretato nel caveau di Bankitalia, a cui peraltro è vietato l'accesso se non a qualche funzionario previo complicato iter burocratico. Di molti plichi, dunque, il contenuto è sostanzialmente ignoto.

Pochi giorni fa l'ultima interrogazione parlamentare al ministro dell'Economia da parte del senatore ex M5s, ora nel Misto, Giuseppe Vacciano, impiegato della Banca d'Italia, che ne ha fatta una battaglia personale da quando un funzionario di via XX Settembre lo contattò per raccontargli i dettagli del «tesoro Mussolini» e dell'intreccio di trascuratezza e ottusità burocratica che l'ha finora condannato all'oblio. Nel settembre scorso, dopo tre richieste depositate in commissione finanze e Tesoro del Senato, il ministero dell'Economia ha finalmente risposto. Ma in modo molto vago, rimpallando di fatto la palla al ministero dei Beni culturali («Il dipartimento ha avviato la procedura di verifica dell'interesse storico e culturale presso il ministero dei Beni culturali, all'esito di tale procedimento il Governo si impegna ad assumere le iniziative idonee per assicurare la valorizzazione dei beni»). Dunque la situazione è che i beni appartengono al ministero del Tesoro, che non sa in cosa consistono e deve chiedere una valutazione ad un altro ministero. Un buco nero burocratico che va avanti da decenni.

«Così, mentre loro aspettano di avere la conferma che i 419 plichi contengono oggetti di valore storico, a me arrivano le telefonate dalla Bbc e dal Times che vorrebbero sapere di più sulle lettere di Mussolini nascoste in quei sacchi» racconta Vacciano -. Ma non intendo arrendermi alla burocrazia istituzionale. Le potenzialità di quei depositi dal punto di vista espositivo sono davvero enormi».

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