Guida dell'ebraismo e testimone di un'epoca. Dalla Shoah a Israele, dal dialogo ebraico-cristiano all'avvento dell'islam. «Durante la mia vita ho potuto vivere in prima persona il tramontare e il sorgere di mondi diversi», ha scritto nel suo testamento spirituale, scritto quando la malattia avanzava inesorabilmente e reso noto ieri dalla comunità ebraica, subito dopo la sua morte.
Giuseppe Laras aveva 82 anni, per 25 è stato rabbino capo di Milano (e prima ancora Livorno e ad Ancona), ha guidato l'Assemblea dei rabbini d'Italia e il Collegio rabbinico italiano. Ma anche oltre l'autorità spirituale e la dottrina dello studioso, la sua voce lascia un segno nell'ebraismo e ora consegna un'eredità morale che va oltre i confini della fede e dei Paesi. «Oggi - si legge nel suo testamento - sono testimone del sorgere di una nuova ondata di antisemitismo (specie nella sua ambigua forma di antisionismo), del tradimento delle sinistre e del rapido declino intellettuale e morale della civiltà occidentale». Il tradimento nasce dal trauma del '67, quando con la Guerra dei Sei giorni, sinistre europee e comunisti voltarono le spalle a Israele, sulla scia di Mosca e di un riflesso ideologico («antimperialista» e antioccidentale) da cui ancora oggi faticano a riprendersi. La vita di Laras invece, come molte altre di quella generazione, era un percorso fra l'orrore della Shoah e la speranza di Israele. Nella sua lettera-eredità ricorda come «la distruzione degli ebrei d'Europa» avesse sfiorato la sua esistenza, «segnandola per sempre». Era sopravvissuto a quelli che definisce «gli orrori e le ceneri della Shoah», «misteriosamente - ha scritto - grazie alla forza e al coraggio di mia madre». Miracolosamente sopravvissuto, perse sua mamma e sua nonna «vedendole scomparire per sempre dai suoi occhi - come ha ricordato il suo allievo Vittorio Robiati Bendaud, celebrando i suoi 80 anni - lui fuggitivo solitario di notte, ancora bambino, dalla Torino della guerra, che perse per lo shock la parola per alcuni mesi». Dopo 70 anni nuove sfide e nuove angosce si profilano per gli ebrei europei. «Nel silenzio o nella nescienza delle più grandi Nazioni - il suo monito - abbiamo assistito alla persecuzione e alla cacciata di centinaia di migliaia di ebrei dai Paesi islamici, ove molti risiedevano da secoli, talora ben prima dell'avvento dell'islam». Laras vedeva per gli ebrei europei una strada «in salita e strettissima». «Tuttavia - ha scritto - oggi la nostra esistenza non è più, ringraziando il Santo e Benedetto e l'impegno di moltissimi, in totale balia delle nazioni». Israele dunque. E in Israele Laras sarà sepolto domani. Dopo la cerimonia pubblica di commiato a Milano, davanti alla sinagoga di via Della Guastalla, alle 14 e 30 lascerà la città per partire in serata alla volta della «Terra di Israele».
«Mi ricordo distintamente il mio viaggio in Israele e la sorpresa, la felicità e l'orgoglio di leggere le scritte in ebraico, dai cartelli stradali alle insegne nei mercati» ha scritto nel suo ultimo testo. Milano e i musulmani lo ricordano come figura chiave del dialogo interreligioso. Ma non intendeva il dialogo come un incontro superficiale e «troppo facile». Per Laras non era appiattimento, non era resa.
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