Toghe favorite nei processi: vincono e incassano il triplo

Uno studio analizza sette anni di risarcimenti nelle cause per diffamazione Il giudice che denuncia ha verdetto favorevole una volta su due e prende più soldi

Toghe favorite nei processi: vincono e incassano il triplo

Per chi lavora in un'azienda editoriale è la scoperta dell'acqua calda: la legge è uguale per tutti, ma per i magistrati è più uguale che per i comuni cittadini. Ma lo studio statistico messo a fuoco da un docente di Sociologia del diritto scolpisce nei numeri la verità del luogo comune sulle toghe: se sono loro a fare causa per diffamazione, improvvisamente la giustizia diventa più celere, le condanne più frequenti e perfino i risarcimenti diventano tre volte più generosi. I numeri sono impietosi. Il professor Morris L. Ghezzi, che è anche direttore scientifico dello studio legale Martinez e Novebaci, ha studiato gli esiti di sette anni di cause per diffamazione di una stessa azienda editoriale, tutte le cause concluse tra l'inizio del 2000 e la fine del 2006. Nella ricerca Ghezzi raggruppa gli «attori», cioè coloro che hanno fatto causa, in tre categorie: i magistrati, i politici e gli altri, cioè gli appartenenti a tutte le altre categorie professionali che, socialmente rilevanti o meno, sono meno sensibili dal punto di vista del rapporto con l'informazione e con la giustizia. Chiunque si senta diffamato da una pubblicazione audio, video o a mezzo stampa, può scegliere se rivolgersi al giudice civile chiedendo un risarcimento per il danno alla reputazione o se invocare il reato di diffamazione, sporgendo denuncia penale. In questo secondo caso, il direttore del giornale e il giornalista rischiano non solo dal punto di vista del portafogli. Lo studio di Ghezzi svela che in entrambi i casi le toghe, guarda caso, ottengono ragione dai colleghi che giudicano molto più spesso dei comuni cittadini. In sede civile la media di domande di risarcimento rigettate è del 38 per cento, ma se a far causa è un magistrato avrà torto solo nel 19 per cento dei casi. La domanda di risarcimento viene accolta nel 47 per cento dei casi in media, ma se l'attore è un giudice si sale al 69. Il totale di accolte e rigettate non fa cento perché spesso accordi tra le parti fermano i processi prima che si arrivi a una sentenza. In sede penale il film è lo stesso: il 40 per cento delle volte i giornalisti o editori sono assolti, ma se hanno contro una toga la media scende al 17 per cento. Le condanne in media sono il 28 per cento? Se il denunciante è un giudice si sale al 52. Per rendersi conto della disparità basta dire che il comune cittadino ottiene una condanna per l'editore che lo ha diffamato solo nel 13,4 per cento dei casi, cioè una volta su sette, mentre i magistrati più di una volta su due.Varia anche l'entità del risarcimento. E varia sempre nello stesso senso: nel civile il cittadino qualunque ottiene in media 31.501 euro, il magistrato 36.823. Nel penale il divario è ancora più clamoroso: il giudice assegna 9.829 euro di media al signor X, e 28.741 al magistrato. Se c'è di mezzo una toga, perfino l'annoso problema della giustizia lumaca è un po' meno irrisolvibile. La durata media delle cause civili è di 44 mesi per i cittadini senza privilegi e di 36 per i magistrati.

Nel penale (che però è più rapido in generale) invece le toghe corrono meno, unica eccezione a una tendenza chiarissima, in base a questi numeri: il senso di casta dei magistrati condiziona le sentenze. Chi crede alla democrazia dovrebbe insorgere, ma la politica è inerme. Tanto più che dallo stesso studio emerge che i politici vengono trattati dai giudici peggio degli altri.

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