Lui non se ne sarà mai accorto, però ho sempre avuto simpatia per Mario Monti, se non altro perché a metà circa degli anni Novanta mi invitò nella foresteria dell'università Bocconi per un pranzo - come si dice (con una forzatura) - di lavoro. Parlammo della rava e un po' meno della fava, ma discorremmo a lungo dei problemi di allora dell'Italia, che poi sono gli stessi di oggi. Da quel tempo, il professore ha fatto una carriera della madonna: è stato commissario europeo (su gentile segnalazione di Silvio Berlusconi, ricambiato come noto con un pernacchio dal raccomandato), poi è stato nominato da Giorgio Napoleone Napolitano senatore perpetuo e, in rapida successione, addirittura presidente del Consiglio.
Però, mica male per un docente diventato famosino grazie agli articoloni scritti per il Corriere della Sera , di contenuto assai diverso dalle opere che egli ha poi realizzato una volta chiamato a governare.
Ma non è questo il tema. Il bocconiano ha un merito che gli riconosco volentieri e pubblicamente: è durato poco, un annetto scarso, all'apice dell'esecutivo. Nonostante la brevità della sua permanenza al vertice del governo, si è assicurato un posto di spicco nella storia del nostro vituperato Paese con una prodezza memorabile: è riuscito a rispedire i marò Massimiliano Latorre (la cui salute è minata da un'ischemia speriamo davvero transitoria) e Salvatore Girone in India, che li aveva illegittimamente arrestati per una sparatoria in cui morirono un paio di pescatori avvicinatisi alla nave che i militari erano incaricati di difendere dai pirati.
Si dà il caso che l'India stessa, consapevole di aver commesso un abuso incarcerando i due fucilieri, avesse concesso loro di rientrare in Italia in permesso premio per ben due volte. Un invito esplicito al nostro Paese a non restituirli ai loro carcerieri: di già che li avete lì, cari italioti, teneteveli e sia finita questa storia assurda. Il ministro degli Esteri dell'epoca, Giulio Terzi di Sant'Agata, mio concittadino nonché diplomatico di lungo corso, mangiò la foglia, anzi tutto l'albero, e brigò per «inventare» la forma giusta allo scopo di garantire a Latorre e Girone il soggiorno definitivo in patria. Scrisse un rapporto impeccabile in cui specificava i motivi per i quali la restituzione dei soldati all'India non era necessaria, anzi inopportuna.
Il governo Monti applaudì all'iniziativa del ministro, al punto che il premier si fece fotografare con i prigionieri riconsegnati, in segno di festa per la liberazione. Cribbio. Trascorrono alcuni giorni e l'esecutivo illuminato dalla scienza universitaria del capo bocconiano sorprende il mondo intero compiendo un'indecorosa retromarcia. L'ordine di Palazzo Chigi è perentorio: restituiamo subito i fucilieri all'India in maniera che vengano processati secondo le regole di quel Paese e sia di loro ciò che è giusto che sia. L'impiccagione? Quel che sarà, sarà. Chissenefrega. L'importante è che i rapporti (commerciali) tra italiani e indiani non siano compromessi da certe inezie che in fondo riguardano due terroni arruolatisi per disperazione e ragioni alimentari.
Capito l'antifona? Terzi si dà da fare in nome del governo per scarcerare i prigionieri e Monti si dà da fare per rifilarli ai loro aguzzini. Non mi sembra una bella cosa. Ma il dado è tratto e i poveri cristi rispediti a calci nel didietro in galera. Una vicenda da brividi, di nuovo d'attualità perché Latorre, stressato, impaurito, stanco della detenzione, avvilito da quasi tre anni di lontananza dalla propria famiglia, si fa cogliere da un ictus, fortunatamente non esiziale, ma che costituisce un campanello d'allarme: occhio ragazzo che sei a rischio.
Nei panni di Monti, davanti a una notizia simile, avrei scavato una buca e lì mi sarei nascosto senza alcuna intenzione di riemergere. Lui invece se ne è sbattuto e non ha proferito una parola. Ci auguriamo che abbia taciuto per imbarazzo, ben sapendo di essere responsabile della puttanata sopra narrata. Il problema comunque per Latorre e Girone non cambia. Essi, in salute o malati, sono laggiù tra le grinfie degli indiani grazie a italiani più indiani degli indiani. Tutti se ne fottono dei marò comandati di svolgere una missione perfettamente eseguita, ma finita male perché i loro referenti si nascondono dietro un dito e non li difendono.
Che razza di gente siamo noi che sventoliamo ogni due minuti il tricolore e cantiamo Fratelli (o fardelli) d'Italia in piazza e nei
cortili maleodoranti del potere, salvo scaricare due connazionali tra i pochi ad avere adempiuto al proprio dovere? Ma andate tutti in mona, come si dice in Veneto, e non fatevi vedere più in giro, né in Senato né altrove.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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