La tragedia diventa show. E il Caronte Cappato si prende tutta la scena

Il leader radicale trasforma l'autodenuncia in evento mediatico e si veste da capopopolo

La tragedia diventa show. E il Caronte Cappato si prende tutta la scena

Muore Fabo, lo show può avere inizio. I giornali raccontano gli ultimi istanti del dj, quel morso con cui ha detto addio alla vita in una asettica clinica svizzera. Ma non c'è tempo per il lutto: è il giorno di Marco Cappato e lui si prende tutta la scena saturando i media con i suoi messaggi. L'esponente radicale è ovunque, salta da una radio a una tv, più ubiquo di Padre Pio e costruisce un copione in cui nulla è lasciato al caso. Fino a creare un nuovo evento: «Alle 14.45 - annuncia su Facebook il tesoriere dell'associazione Luca Coscioni - vado dai carabinieri ad autodenunciarmi per l'aiuto al suicidio di Fabo».

Così quando Cappato raggiunge la caserma a due passi dal Duomo ad attenderlo c'è una platea di giornalisti. Telecamere e taccuini. La pietà è ormai in un angolino.

Tutto va di fretta. Denuncia e ribalta. Non c'è più un tempo per piangere e per tacere, perché tutto sta insieme. «Sabato mattina - racconta Cappato ai microfoni di Radio24 - ho caricato Fabo sulla mia macchina con la sua carrozzella per cinque ore di un viaggio francamente straziante». L'ultimo viaggio del dj. Ora siamo già all'atto successivo, davanti alla stazione dell'Arma: «Il mio obiettivo è portare lo Stato italiano all'assunzione delle sue responsabilità». Le lacrime, 24 ore dopo il grande salto, sono sentimenti di retroguardia. Il duello si sposta tutto sul piano politico, nel braccio di ferro con il Palazzo: «Entrerò in caserma e racconterò semplicemente quello che ho fatto». Ecco, dunque, l'autodenuncia per un reato, l'istigazione al suicidio, che può significare una condanna a 12 anni di carcere. Ma il discepolo di Marco Pannella sa quello che fa: espone se stesso per trascinare in giudizio le istituzioni. «Io - prosegue - ho aiutato Fabo a ottenere assistenza medica alla morte volontaria. Sarà poi compito dello Stato decidere se girare la testa dall'altra parte o consentire di difendere le mie ragioni in un'aula di tribunale».

C'è qualcosa che non si può misurare e però stride in questo flusso di ragionamenti, giudizi e sferzate che Cappato assesta disegnando sempre alternative drammatiche e penose a un tempo: «Non può essere che se tu hai 10mila euro e la condizione di trasportabilità vai in Svizzera e se invece stai inchiodato al letto e non hai soldi devi subire il suicidio nelle condizioni più terribili o una tortura di vita che non vorresti».

Ecco lo schema manicheo, un classico della cultura in bianco e nero radicale: i ricchi possono farlo, magari all'estero, i poveri sono disgraziati fino alla fine e nella fine. Il reato, par di capire, non c'è; c'è invece, nella visione radicale, l'ipocrisia di uno Stato che pattina sulle parole, non ascolta la sofferenza e il dolore, schiaccia la libertà individuale: «Lui ha chiesto aiuto a me perché non voleva che le sue scelte ricadessero sulle persone che amava, io l'ho aiutato ma non c'è stata alcuna istigazione, tutti gli abbiamo chiesto se volesse tornare indietro: lui non ha avuto ripensamenti, anzi. Era quasi innervosito da questo continuo richiamo alla possibilità di tornare indietro».

Per un attimo Fabo torna in primo piano e tornano i suoi ultimi minuti: «A un certo punto aveva il terrore di non riuscire, essendo completamente paralizzato, ad azionare il pulsante con un movimento della bocca. Era la sua unica paura, e quando ha visto che ce la faceva, dopo aver fatto una prova, si è rilassato, ha cominciato a scherzare, ha raccomandato agli amici di mettersi le cinture quando vanno in macchina, ha potuto scambiare parole di amore con chi gli stava vicino».

Ciao Fabo. Ora restano Cappato e il suo processo al processo: «Il codice penale, scritto ai tempi del fascismo, fa a pugni con la Costituzione». Un gruppetto di militanti applaude.

Il procuratore della repubblica Francesco Greco invece abbassa l'audio: «Valuteremo l'autodenuncia. Prima di parlare di eventuali reati bisogna vedere esattamente cosa è successo. Io al momento non lo so». Giù il sipario, almeno per oggi.

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