Nove storie italiane, nove vite che si intrecciano la sera del primo giorno di luglio intorno ai tavoli di un caffè di Dacca, in quel clima un po' spensierato e un po' nostalgico di tutte le comunità di espatriati. Le storie delle nove vittime italiane della strage in Bangladesh hanno quasi tutte un denominatore comune: il business del tessile, il richiamo del cotone a buon mercato e della manodopera a basso costo che ha portato l'etichetta del «made in Bangladesh» sul collo di milioni di capi di vestiario disegnati nel Belpaese.
Ma, a leggerle una per una, queste nove storie - le storie di Maria e di Claudio, di Ñadia e di Marco, e degli altri sorpresi dall'irruzione ai tavoli della bakery di Dacca - hanno un altro denominatore comune, che va più in là del calcolo mercantile dei costi e dei benefici: ed è la voglia di mettersi in gioco, la disponibilità a affrontare i disagi emotivi e materiali della lontananza da casa. Disagi che costano e che pesano, e che diventano sopportabili se sull'altro piatto della bilancia non c'è solo uno stipendio, ma la curiosità per il mondo. Altro che bamboccioni.
Apertura mentale: questo raccontano le biografie di questi italiani qualunque. E fa impressione leggere che tra gli ultimi messaggi pubblici di Adele Puglisi, anche lei caduta venerdì sera sotto le mannaie e i proiettili dei fanatici dell'Islam, ci sia un appello alla tolleranza e alla comprensione. É il novembre dello scorso anno, l'Europa è scioccata dall'attacco che i commandos integralisti hanno portato nel cuore di Parigi. Un giornale italiano, Libero, apre la sua prima pagina con un titolo che solleva un mare di polemiche: «Bastardi islamici». E tra i tanti che si indignano c'è anche lei, Adele, che sulla sua pagina Facebook scrive «Vergogna», e annuncia di avere firmato una petizione contro il direttore del giornale, accusandolo di incitare all'odio razziale.
Storie di interesse e rispetto per l'altro da sè si intravedono anche nelle altre storie, nelle biografie spicciole di questi italiani con la valigia pronta. E questo non fa che acuire l'orrore per le scene raccontate dai sopravvissuti, per l'incredibile ferocia del massacro. Agli assassini non interessava sapere chi avevano davanti. Questa è la differenza, venerdì sera a Dacca, tra vittime e carnefici.
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