Il tramonto dell'utopia di una nazione "ponte"

La Turchia è diventata una democrazia autoritaria: il sogno è svanito

Il tramonto dell'utopia di una nazione "ponte"

A esattamente un mese dal fallito golpe contro Erdogan, la trasformazione della Turchia da democrazia autoritaria in dittatura può dirsi completata. È vero che il Sultano è stato eletto dal popolo e che probabilmente ha ancora il sostegno della maggioranza dei suoi cittadini, convinti che l'imam Fetullah Gulen (di cui, dopo la richiesta della procura di 1900 anni di carcere, Ankara potrà ora chiedere formalmente l'estradizione agli Stati Uniti) è davvero la mente del putsch del 15 luglio. Ma l'ampiezza delle purghe delle scorse quattro settimane completa il processo degenerativo iniziato un paio d'anni fa. L'Europa ha finalmente cominciato a prenderne atto. Il ministro degli Esteri tedesco Steinmaier ha detto che le relazioni tra i due Paesi sono deteriorate al punto che «non esiste più la base per alcuna trattativa». Il cancelliere austriaco Kern ha chiesto di mettere subito fine alla «farsa diplomatica» dei negoziati per l'adesione di Ankara alla Ue. Federica Mogherini ha dichiarato che se Erdogan ripristinasse davvero la pena di morte per i golpisti («perché dovrei mantenere questi traditori in prigione per anni?», ha detto il Sultano in tv) la Turchia perderebbe ogni possibilità di entrare mai a far parte dell'Unione. Ma è soprattutto l'atteggiamento popolare ad essere cambiato. In tutti i 28 Paesi della Ue più della metà dei cittadini è contrario all'adesione turca, con una punta dell'81% in Germania. Il sogno che la Turchia potesse fare da ponte tra l'Occidente e il mondo islamico è definitivamente tramontato e l'accordo sui profughi quanto mai in bilico.

Le cifre della caccia alle streghe di Erdogan sono ormai paragonabili alle purghe di Hitler e di Stalin dopo la loro salita al potere, confermando il sospetto che le liste di proscrizione fossero pronte già prima del golpe. Finora sono stati arrestati o epurati 157 tra generali ed ammiragli cioè il 46% delle strutture di comando delle Forze armate - e altri 8500 ufficiali. Ma la caccia ai presunti complici dell'ex alleato Fetullah Gulen si è rapidamente allargata all'intero settore pubblico e ora con l'arresto ieri di 120 dirigenti d'azienda accusati di avere fornito sostegno finanziario al golpe sta investendo anche il settore privato. Secondo le ultime stime, sono stati finora colpiti 15mila insegnanti, 9mila poliziotti, 7mila soldati semplici, oltre tremila giudici e procuratori, varie centinaia di giornalisti ed editori, altrettanti professionisti di ogni categoria e moltissimi semplici cittadini sospettati di nutrire simpatie guleniste, per un totale di circa 80mila persone: metà sono in carcere, l'altra metà agli arresti domiciliari, e molti avvocati hanno paura di assumerne la difesa. Intanto, le epurazioni nei media hanno fatto sì che oggi tutti senza eccezioni sostengano le tesi del governo, esercitando una forte pressione sull'opinione pubblica . Ai provvedimenti governativi si aggiunge l'operato delle squadracce che lo stesso Sultano ha incaricato di «vigilare sulla democrazia»: la segretaria di un quotidiano, incinta di cinque mesi, è stata malmenata con l'accusa di vestire abiti discinti e sostenere il golpe e un turista francese ha rischiato i linciaggio per essersi rifiutato di sventolare la bandiera turca.

«Il golpe - ha detto Erdogan - è stato un dono di Allah che mi permette di ripulire finalmente le Forze armate». Ma il risultato è stato anche un grave indebolimento di quello che è ancora il secondo esercito della Nato, in un momento in cui è impegnato sia contro i separatisti curdi del Pkk, sia (con mote ambiguità) contro l'Isis. Inoltre, l'arresto di molti generali specialmente legati all'Alleanza atlantica ha rafforzato l'ipotesi che la Turchia possa uscirne per legarsi maggiormente alla Russia. La prova del nove dello stato dei rapporti della Turchia con l'Occidente si avrà quando arriveranno le domande di estradizione di Gulen (corredate da un dossier di 2527 pagine) e forse di altri individui che hanno cercato rifugio all'estero.

In particolare l'America, che tiene moltissimo a mantenere rapporti con Ankara, sarà in grave imbarazzo. Ma se si dovesse cedere a Erdogan consegnandogli i suoi oppositori in nome della realpolitik, sarebbe davvero un momento triste per le nostre democrazie.

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