Ma il trattato per l'estradizione non c'è

L'accordo è del 2015, ma il Parlamento non ha mai ratificato

Ma il trattato per l'estradizione non c'è

Un pasticcio. Il trattato di estradizione è a un passo dalla ratifica, ma il traguardo resta un miraggio. E l'imbarazzo cresce perché gli Emirati la loro parte l'hanno svolta e hanno concluso l'iter. L'Italia invece è alle prese con lo scivolosissimo tema della pena di morte. «Di fatto - taglia corto il sottosegretario alla giustizia Cosimo Ferri - nella prima formulazione dell'accordo non era stata considerata la delicatissima questione». Eppure sembrava fatta.

A settembre 2015 il ministro Andrea Orlando vola ad Abu Dhabi e firma il pre accordo. I latitanti italiani, tutti alla luce del sole, cominciano a tremare.

Ma le procedure s'incagliano. «Nei mesi successivi - spiega al Giornale il deputato Pd Davide Mattiello che sul punto ha presentato più di un'interrogazione - l'Italia ha recepito una direttiva della Ue che impone il massimo rigore sulla pena di morte. Questo vuol dire che l'Italia, qualora debba estradare una persona che laggiù rischia la pena capitale, può pretendere in forma scritta la commutazione in una pena detentiva».

Risultato: da più di un anno si aspettano novità che però non arrivano. Arriva invece, a complicare la situazione, l'arresto di Giancarlo Tulliani. «Attendiamo con pazienza la correzione del trattato - prosegue Mattiello - poi il testo dovrebbe tornare in consiglio dei ministri e lì dovrebbe essere vestito nella forma del disegno di legge da mandare alle Camere per la ratifica».

Semplice sulla carta, complicato nella realtà. «Abbiamo riavviato i negoziati tenendo conto delle indicazioni dell'Europa - replica Ferri - gli accordi si fanno in due».

Per ora, la pattuglia dei fuggitivi può dormire sonni relativamente tranquilli. «I latitanti sono almeno 12», sottolinea Mattiello. Fra loro il più noto è Amedeo Matacena, ex parlamentare di Forza Italia, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. Nell'elenco spicca poi il nome di Raffaele Imperiale, narcotrafficante di spessore legato alla camorra che, secondo le investigazioni della Guardia di finanza, vive nel lusso più sfrenato, a lungo ha occupato una suite nel costosissimo hotel Burj Al Arab, ed è arrivato a spendere fino a 400mila euro al mese.

Attenzione: l'assenza di un trattato non vuol dire che comunque gli emirati non possano rimandare in Italia i criminali scappati dal nostro Paese.

In effetti anche Matacena fu fermato nel 2013 e rimase in cella 40 giorni prima di riacquistare la libertà. «Non so come andrà a finire con Tulliani - ragiona Mattiello - ma noto un parallelismo fra le due vicende. Pure Matacena fu bloccato all'aeroporto e credo che le autorità di quel Paese abbiano lanciato tutte e due le volte un messaggio assai chiaro: va bene stare rintanati negli sfarzosi grattacieli, ma i latitanti non devono esagerare».

E invece in un modo o nell'altro, Tulliani come Matacena non ha rispettato le regole minime di prudenza. L'aeroporto è terra di frontiera, di controlli, di polizia. «Se ti avventuri in quel contesto - conclude Mattiello - allora tutto può accadere». Si attende la prossima puntata.

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