Roma Serve forse a fugare le ombre di una giornata, non quelle della guerriglia in atto, la smentita grillina sull'infondatezza delle «pressioni» per chiedere le dimissioni del ministro dell'Economia, Giovanni Tria. È certo che la frase pronunciata dal vicepremier Luigi Di Maio a difesa del reddito di cittadinanza, bandiera cinquestelle, serve piuttosto a rimettere in equilibrio l'asse del governo, dopo che il suo dioscuro Matteo Salvini l'aveva fatta pendere dalla sua parte, ipotecando già i miliardi della manovra per finanziare riforma delle pensioni e inizio di alleggerimento fiscale. Dunque la frase («O trova i 10 miliardi per il reddito di cittadinanza o via») non voleva costituire una delegittimazione del ministro Tria, probabilmente solo un avvertimento a futura memoria. Per evitare che le istanze leghiste sopravanzino quelle grilline.
Nella sempre disdicevole banalizzazione del linguaggio renziano, epica di un infinito derby, lo scontro in atto sotto i tavoli governativi è diventato il solito, stucchevole urletto da gradinata Fiesole: «Vediamo se vince Tria o i due vicepremier Salvini-Di Maio...». Eppure la partita che si gioca sopra quei tavoli, e che ha come portata principale la manovra economica, va ben al di là di un semplice attacco al responsabile di via XX Settembre. «Responsabile» due volte, Tria: in senso tecnico e perché capace di suscitare sentimenti di comunanza, stima ed empatia anche fuori dai recinti della partigianeria. Il partito di Giovanni Tria è lo stesso di tanti (non tutti) i suoi predecessori: quello del senso di realtà. Dunque «garanzia» per il sistema, per l'equilibrio complessivo dell'Italia (non solo dei suoi conti) nel suo stare in Europa. Per questo, «uomo del partito di Mattarella» o, se si vuole, quello della stabilità del Paese. In tale contesto va perciò inquadrato ogni eventuale attacco al ministro dell'Economia che attende un chiarimento ormai imminente tra Salvini e Di Maio - usando schemi renziani, tra il partito della flat tax e quello del reddito di cittadinanza. Ovvero, in totale, pari a circa 20 miliardi di euro della futura manovra, che chissà Tria da dove potrebbe tirar fuori, visto che si dice che sarebbe orientato a non oltrepassare l'asticella dell'1,6% nel rapporto deficit-Pil (0,9% con Gentiloni). Flessibilità pari a circa 12,6 miliardi, appena sufficiente a disinnescare clausole di salvaguardia e scongiurare l'aumento dell'Iva. Se Tria aveva auspicato una manovra «lenta», siamo ora invece nel pieno del rock-and-roll impresso dalle fughe in avanti di Salvini e Di Maio.
Ma se il rapporto tra Salvini e Di Maio, con il loro linguaggio che parla a suocera perché nuora intenda, sembra comunque inossidabile, questo continuo rimbeccarsi che strizza l'occhio alla propaganda bene non fa alla compattezza della maggioranza. E fa trapelare, ancora una volta, pure la malcelata voglia di dare un calcio all'Europa unita, sabotandola dall'interno, piuttosto che riformarla per averla più bella che pria.
Retropensieri avvalorati dalle dimissioni chieste ieri dai capigruppo di Camera e Senato di M5s e Lega al presidente della Consob, Mario Nava, «per senso di sensibilità istituzionale». Richiesta che fa intuire quale sia l'orizzonte nel quale si muove il governo, deciso a smantellare ogni eredità lasciata dai predecessori (Nava è stato nominato in extremis da Gentiloni, ha sei anni di mandato) ma anche a utilizzare ogni pretesto per delegittimare le istituzioni europee. È proprio questa l'accusa portata a Nava, funzionario della Commissione Ue che ha avuto un «comando». Status che gli impone di «rimanere soggetto agli stessi doveri e diritti dei funzionari della Commissione in attività di servizio», ha chiarito qualche giorno fa Oettinger nella risposta a un'interrogazione-tranello posta dai gialloverdi.
Perciò sarebbe «incompatibile con la guida di un'autorità indipendente italiana, il cui ruolo è quello di garantire l'ordinato funzionamento del mercato finanziario nazionale», dicono. Con ciò tradendo, se non altro, una totale assenza di dimestichezza con la ragnatela finanziaria globalizzata.
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