E mmanuel Macron ha superato brillantemente anche l'ultimo ostacolo che lo separava dall'Eliseo quello di una massiccia astensione e da stamattina deve cominciare a pensare come governare. Dopo i giorni del trionfo, la prima seria difficoltà per quello che sarà il più giovane (e visto come è arrivato al traguardo, anche il più fortunato) presidente della storia francese dopo Napoleone saranno le elezioni legislative dell'11 e 18 giugno, da cui uscirà il Parlamento che dovrà votare prima la fiducia al suo governo, e poi approvare tutte le riforme che egli intenderà proporre. Macron ha già dichiarato che il suo movimento «En Marche!» presenterà candidati in tutti i 577 collegi uninominali, ma è impensabile che arrivi a conquistare i 289 seggi necessari per la maggioranza assoluta: i suoi uomini sono giovani magari preparati, ma quasi sconosciuti, che per quanto avvantaggiati dal consueto «effetto di trascinamento» avranno molte difficoltà senza un partito strutturato alle spalle e con le complicazioni del maggioritario a doppio turno a battere i candidati dei partiti storici che spesso rappresentano i rispettivi distretti da molti anni.
Le previsioni sono che tra sei settimane Macron si ritroverà alle prese con un Parlamento frammentato, diviso tra i suoi uomini, i Repubblicani, i socialisti, i comunisti e i lepenisti, in cui non sarà facile formare una maggioranza. Il suo primo ostacolo sarà la scelta del primo ministro. Egli vorrà senz'altro uno dei suoi uomini (Ma chi? Finora, tra i suoi collaboratori, non è emerso nessuno con la statura necessaria) ma la cosa funzionerà solo se «En marche!» sarà il partito di maggioranza relativa. Se invece, come è probabile, il gruppo parlamentare più forte sarà quello dei Repubblicani, Macron dovrà concordare la formazione e il programma del governo con loro e rassegnarsi, fin dall'inizio, a un quinquennio di «coabitazione».
Macron ha il vantaggio di essere stato eletto sulla base di un programma abbastanza generico che contiene qualcosa per la destra, come l'aumento del bilancio della Difesa e del numero dei poliziotti, una forte spinta alle liberalizzazioni e un'accelerazione del rimpatrio dei clandestini, e qualcosa che piace alla sinistra, come un progetto di tassazione delle multinazionali, il mantenimento di Schengen e ius soli, e un miglioramento delle prestazioni sociali. Forte della sua autodefinizione di «uomo di sinistra aperto alle idee della destra», potrà negoziare se necessario con entrambi i partiti storici che lo hanno sostenuto nel ballottaggio. I punti su cui non può assolutamente cedere saranno l'europeismo e il globalismo, che sono stati il suo marchio di fabbrica, ma sui problemi dell'immigrazione e dell'integrazione sarà senz'altro costretto ad accettare qualche compromesso su un programma da molti giudicato troppo liberale e insufficiente a contrastare il pericolo del terrorismo. Un punto cruciale, su cui c'è un sostanziale accordo con Fillon, è il ridimensionamento del ruolo dello Stato, che al momento gestisce ben il 57% del Pil. I Repubblicani proponevano di ridurre i dipendenti statali di ben 500mila persone, Macron ne vuole eliminare solo 120mila, ma l'idea di fondo di alleggerire il peso della burocrazia è la stessa.
Un altro pilastro del programma dovrebbe essere la riforma delle leggi del lavoro, con un «alleggerimento» della famosa legge delle 35 ore: qui la battaglia sarà, più che coi socialisti, coi sindacati, che hanno sostenuto il neopresidente in funzione anti-Le Pen, ma diffidano di lui per la sua provenienza dall'establishment politico-finanziario parigino.
In base alla Costituzione, Macron avrà ampi poteri in materia di politica estera e militare, e perciò non avrà grande difficoltà né a rafforzare la presenza della Francia in Europa rilanciando l'asse con Berlino e neppure, se vorrà, a proseguire l'attivismo di Hollande in Africa. Ma, per tutto il resto, dovrà passare da Palazzo Borbone e, essendo un novizio della politica, incontrerà certamente delle difficoltà.
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