Fra trofei e business. La caccia grossa porta all'estinzione

Lo studio: colpire gli esemplari migliori non seleziona la specie ma la indebolisce

Fra trofei e business. La caccia grossa porta all'estinzione

Chi è favorevole alla caccia grossa e ai trofei ricavati da tale pratica, ha sempre difeso questo mercato, tentando goffamente di giustificarlo, con una pretesa protezione delle specie più o meno in pericolo d'estinzione. Il principale ragionamento sta nel fatto che portando nei paesi africani il turismo dei cacciatori, si riempiano le casse di queste nazioni con dollari sonanti che verrebbero poi impiegati per proteggere ambiente e animali dal degrado cui sono sottoposti e dalla falcidie dei bracconieri. Giustificazione risibile ovviamente, perché basta seguire sommariamente le vicende economiche e politiche di queste nazioni per capire che qualunque dollaro entri, finisce subito nelle mani di despoti e tiranni che, solo dopo una rivoluzione di popoli ormai allo stremo per fame e malattie, viene talvolta strappata dal trono su cui era seduta da tempo immemore, come avvenuto pochi giorni fa nello Zimbabwe di Mobutu. Lo stesso presidente americano Trump ha tentato, un paio di settimane fa, di abolire il divieto d'importazione di trofei di caccia voluto da Obama, da questi paesi, ma ha dovuto fare una rapida marcia indietro per le proteste che si sono levate nel mondo e anche tra i suoi parlamentari conservatori. Il fatto che ai suoi figli piaccia fare caccia grossa in Zimbabwe e Zambia non è stata reputata una motivazione valida per un provvedimento così sciagurato. Per fortuna.

È di pochi giorni fa la pubblicazione di una ricerca della Queen Mary University di Londra, secondo cui i trofei derivanti dalla caccia e altre attività che prevedono la selezioni di maschi qualitativamente dotati nel fisico potrebbero portare all'estinzione di alcune specie che devono affrontare condizioni ambientali instabili. Gli animali maschi con notevoli attributi sessuali secondari, quali le corna di antilope, di cervo o la criniera dei leoni, sono spesso presi di mira dai cacciatori per scopi ricreativi e per pavoneggiarsi nelle «sale di caccia» delle relative ville. È la stessa esecrabile pratica del collezionista d'insetti che paga prezzi esorbitanti pur di ottenere esemplari di animali particolarmente rari a causa delle loro pronunciate caratteristiche sessuali secondarie.

Gli individui, mammiferi o insetti che siano, dotati di questi ornamenti, tendono a essere i più forti e ad avere una componente genetica più robusta rispetto agli altri. Se vengono dunque rimossi dall'ambiente in cui vivono, anche i loro geni scompaiono. Quando l'ambiente diventa mutevole e ostico più si abbassa il numero di questi esemplari, più la specie va incontro al pericolo di estinzione.

Robert Knell, autore dello studio, afferma: «Questa ricerca dimostra che la caccia al trofeo può potenzialmente spingere le popolazioni all'estinzione quando l'ambiente cambia, perché questi maschi di alta qualità, con notevoli tratti sessuali secondari, tende a generare un'alta percentuale di prole con geni buoni. Questi si diffondono e si adattano rapidamente ai nuovi ambienti. La rimozione di questi maschi inverte questo effetto e potrebbe avere conseguenze gravi anche se non intenzionali».

Che dietro la caccia grossa e i trofei ci sia un business formidabile è facilmente verificabile andando a fare surfing sui relativi siti dove uomini e donne sorridenti abbracciano prede costate una fortuna. Che possa interessare anche l'Agenzia delle Entrate?

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