«A chi l'oro di Bankitalia? A noi!». È in estrema sintesi il proclama di sapore dannunziano di Claudio Borghi, deputato della Lega e presidente della commissione Bilancio di Montecitorio.
Borghi ha concretizzato la sua aspirazione in una proposta di legge depositata circa tre mesi fa e ora in attesa di essere messa in discussione a Montecitorio allo di scopo portare sotto il controllo governativo le riserve auree della Banca d'Italia. Un pensiero fisso per l'economista del Carroccio che, ancora prima dell'irresistibile ascesa del suo leader Matteo Salvini ai vertici di Palazzo Chigi, aveva sparato a zero contro il sistema insistendo sulla necessità di rendere ai cittadini l'oro conservato a Palazzo Koch.
La legge si compone di un solo articolo che nelle intenzioni del suo primo firmatario ha lo scopo di riportare le cose al giusto posto, ovvero i preziosi lingotti sotto il diretto controllo dell'esecutivo. L'iniziativa legislativa intende dare «un'interpretazione autentica» della normativa sulle riserve auree nazionali. L'unico articolo così recita: «Il secondo comma dell'articolo 4 del testo unico delle norme di legge in materia valutaria, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1988, n. 148, si interpreta nel senso che la Banca d'Italia gestisce e detiene, ad esclusivo titolo di deposito, le riserve auree, rimanendo impregiudicato il diritto di proprietà dello Stato italiano su dette riserve, comprese quelle detenute all'estero».
È Borghi stesso a spiegare nella relazione introduttiva alla legge che «il tema della proprietà delle riserve auree nazionali, sebbene inconfutabile nel cuore di ogni cittadino italiano, è carsicamente apparso nella discussione parlamentare come un tema di dibattito». Un confronto che si è intensificato nel tempo «specie dopo l'avvento del sistema bancario europeo» che ha provocato «lo stratificarsi della normativa che ha finito col rendere la Banca d'Italia un ircocervo giuridico». Insomma per Borghi è chiaro che quell'oro appartiene agli italiani ma purtroppo non esiste una legge che lo dichiari esplicitamente.
Esiste dunque «un vulnus normativo, se non addirittura una vera e propria errata interpretazione» dello status quo e quindi il rappresentante del Carroccio intende «riportare l'esegesi della normativa nazionale in una situazione di certezza e chiarezza». Ed a scanso di imprecisioni Borghi stende una lista.
La Banca d'Italia, è scritto nel testo di legge «è il quarto detentore di riserve auree al mondo, dopo la Federal Reserve statunitense, la Bundesbank tedesca e il Fondo monetario internazionale. Il quantitativo totale di oro detenuto dall'istituto, a seguito del conferimento di 141 tonnellate alla Banca centrale europea, è pari a 2.452 tonnellate (metriche); è costituito prevalentemente da lingotti (95.493) e, per una parte minore, da monete».
Certo a Palazzo Koch non la pensano così visto che anche sul sito della Banca d'Italia è scritto in modo inequivocabile che l'oro è della
Banca. «Il quantitativo di oro di cui la Banca d'Italia è ad oggi proprietaria è frutto di una serie di eventi che hanno permesso all'Istituto di diventare, nel tempo, uno dei maggiori detentori al mondo di metallo prezioso».
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