New York - I cacciabombardieri F-35 finiscono nel mirino di Donald Trump per i costi eccessivi, e l'azienda affonda in Borsa. Ha creato un putiferio il messaggio Twitter del presidente eletto nel quale ha affermato che «il programma e i costi per l'F-35 sono fuori controllo. Miliardi di dollari possono essere e saranno risparmiati nel campo delle spese militari e di altro genere dopo il 20 gennaio». Anche se non è la prima volta che il programma, definito il più costoso nella storia del Pentagono, è al centro delle critiche, quei 140 caratteri sono bastati perché in pochi minuti Lockheed Martin bruciasse a Wall Street quattro miliardi di capitalizzazione di mercato, perdendo oltre il 4%.
Appena una settimana prima delle elezioni dello scorso 8 novembre era stato chiuso il contratto per 90 aerei F-35 dal Dipartimento della Difesa americano, dopo negoziati durati quattordici mesi, e Lockheed Martin, che ha vinto il contratto del valore di 7,18 miliardi di dollari alla fine di novembre, ha ricevuto un pagamento intermedio. L'azienda, assieme ai suoi partner, sta ora sviluppando tre varianti del cacciabombardiere sia per l'esercito degli Stati Uniti che per dieci alleati, tra cui l'Italia. A rispondere alle critiche di Trump per Lockheed Martin è il capo del programma F-35 Jeff Babione: «La società capisce le preoccupazioni circa l'accessibilità del progetto, e ha investito milioni di dollari per ridurre il prezzo del jet», ha detto, ribadendo che «il programma è di grande valore e l'azienda risponderà alle questioni sollevate dal presidente eletto». Babione ha poi assicurato che l'obiettivo è di ridurre il costo del velivolo di oltre il 70% rispetto alle stime originarie: «La proiezione al 2019-2020 è di 85 milioni di dollari. A quel prezzo l'F-35 sarà meno costoso di qualsiasi aereo di quarta generazione al mondo. E sarà invece di quinta generazione, che è un enorme vantaggio tecnologico per tutti coloro che lo utilizzeranno».
L'attacco di Trump a Lockheed Martin segue quello a Boeing, criticata la scorsa settimana per i costi troppo elevati della nuova flotta di aerei Air Force One, il mezzo di trasporto dei presidenti americani per eccellenza, con The Donald che ha sollecitato il governo federale ad annullare l'ordine. Boeing, intanto, ha firmato un accordo da 16,6 miliardi di dollari con l'Iran per l'acquisto di 80 aerei passeggeri. Si tratta del più grande contratto siglato da Teheran con produttori occidentali dalla rivoluzione islamica del 1979, anche se restano incertezze sul futuro e soprattutto su come Trump gestirà le aperture commerciali garantite dall'accordo sul nucleare, su cui è fortemente critico.
E prosegue anche il braccio di ferro del Commander in Chief eletto con Pechino, che deve aprire sul commercio e su altri dossier se vuole che gli Usa restino vincolati al riconoscimento di una sola Cina. Il re del mattone, infatti, ha minacciato di rovesciare la linea seguita per oltre quarant'anni dagli Stati Uniti di riconoscere «una sola Cina», ossia il governo di Pechino, rigettando le aspirazioni indipendentiste di Taiwan.
«Non capisco perchè dobbiamo essere legati a questa politica, a meno che non si facciano accordi su altre cose, ad esempio sul commercio», ha avvertito, criticando il Paese asiatico per la sua politica valutaria, per le sue attività nel Mar cinese meridionale e per la sua posizione sulla Nord Corea. Dichiarazioni per cui la Cina, come ha spiegato il portavoce del ministero degli esteri Geng Shuang, «è seriamente preoccupata».
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