Novecentomila elettori italiani (dati in difetto). Nella sola Buenos Aires ne vivono 400mila. «Più che a Bologna», notò una volta Matteo Renzi. L'Argentina è il Paese che in assoluto conta più italiani residenti, dopo l'Italia. Quasi il doppio del Brasile. Quelli iscritti all'Aire - l'anagrafe degli italiani residenti all'estero - sono 868.265 (dato 2015). Ecco perché Renzi ci tiene così tanto a prendersi l'Argentina. Quel Paese è come uno dei suoi tanti bonus: chi si becca quello, vince. È il Santo Graal del voto degli italiani all'estero. E per far questo il presidente del Consiglio è disposto a qualsiasi magheggio (arte nella quale peraltro, è un fuoriclasse).
Sull'importante quotidiano argentino El Clarín di Buenos Aires (tiratura di circa 500mila copie distribuite su tutto il territorio nazionale) l'altro ieri ha fatto uscire una paginata di pubblicità. Per il Sì, ovviamente. Guarda caso lo stesso giornale che, nel settembre scorso, pubblicò una lunga intervista nella quale la ministra Maria Elena Boschi, mandata da Renzi in missione pastorale in Sud America per perorare la causa del Sì, spiegò, accuratamente, la riforma.
C'è poi un documento che gira negli ambienti diplomatici in questi giorni, nel quale il ministero degli Esteri invita i consolati e le ambasciate alla mobilizzazione generale a favore del Sì. Giuseppe D'Agosto, console generale a Rosario (più di un milione di abitanti, 130mila italiani, la città più grande e popolosa della provincia argentina di Santa Fe, a circa 300 chilometri da Buenos Aires) ha spedito agli italiani residenti nella sua provincia una letterina per invitarli a votare Sì. O meglio, ha invitato in consolato, mercoledì 9 novembre, alti rappresentanti della comunità italo-argentina, in occasione della visita dell'ambasciatore italiano a Buenos Aires, Teresa Castaldo, e del sottosegretario Pd agli Affari Esteri, Vincenzo Amendola.
Del resto l'ambasciatrice Castaldo non è nuova a questi comizi a favore del governo. Riempire il teatro Coliseo di Buenos Aires 1.800 posti di proprietà dello Stato italiano non è cosa facile il lunedì pomeriggio. Eppure lei ci è riuscita. Lunedì 26 settembre Maria Elena Boschi iniziò il suo viaggio in America Latina per il Sì al referendum. Sul palco con lei c'era anche l'ambasciatrice. La ministra delle Riforme l'aveva subito e «sentitamente» ringraziata «per aver organizzato questo incontro». La Boschi ringraziò anche il console generale D'Agosto. L'ambasciatrice Castaldo ascoltò la ministra restando sempre seduta alla sua sinistra. Al termine la omaggiò pure con un mazzo di fiori. Una sorta di Leopolda in salsa argentina. Curiosamente l'iniziativa non vide la partecipazione del Pd di Buenos Aires, in maggioranza schierato per il No.
Nei giorni precedenti, dalla segreteria dell'ambasciata erano partite lettere e telefonate di invito. Un uso quanto meno singolare delle rappresentanze diplomatiche italiane. In appoggio a una manifestazione per il Sì, e non solo all'attività diplomatica della ministra. Nelle mail partite dall'ambasciata di Buenos Aires a tutte le (tantissime) associazioni italo-argentine si raccomandava di arrivare al teatro in anticipo sull'orario. Alla fine nel teatro c'erano quasi mille persone. E la ministra, dietro lo stemma della Repubblica italiana, attaccò con la solita lagna «non ci saranno altre opportunità per avere un Paese che funziona meglio» e del resto «sarei ipocrita se non vi chiedessi di votare Sì».
«Ormai con l'attuale legge elettorale del voto all'estero, le ambasciate e i consolati sono come le prefetture ai tempi di Giolitti», commenta l'avvocato Serafino Generoso, tra i fondatori del Comitato del SuperNo.Infine, come scritto per la Nigeria e il Ghana, anche in Argentina le schede inviate agli elettori dai consolati e dall'ambasciata, non sono né timbrate né firmate. Sarà un caso...
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