Ultimo orrore dell'Isis Giustiziati 13 bambini per una partita di calcio

La loro colpa: aver guardato la nazionale a Mosul, in Iraq Il tifo nel mirino dei jihadisti dopo una fatwa del 2005

Ultimo orrore dell'Isis Giustiziati 13 bambini per una partita di calcio

Se fosse vero sarebbe l'ennesimo atto aberrante di inaudita violenza. Difficile penetrare nella roccaforte di Mosul e verificare di prima mano quanto accade. L'ultima mostruosità risalirebbe allo scorso 12 gennaio, quando i miliziani del Califfato hanno ucciso a colpi di mitragliatrice, per di più in pubblico, 13 ragazzini «colpevoli» di aver guardato una partita di calcio in tv tra la nazionale irachena e la Giordania, valida per la Coppa d'Asia in corso di svolgimento in Australia. I ragazzini sarebbero stati catturati nel quartiere di Al Yarmuk, a Mosul, e giustiziati perché nel guardare il match avrebbero violato la sharia. I cadaveri sono rimasti esposti a terra e i genitori non hanno potuto recuperarli per timore di essere uccisi dai jihadisti. Lo rivela sul proprio portale web un gruppo di attivisti dal nome «Raqqa is being slaughtered silently» (Raqqa viene macellata in silenzio). Sulla vicenda si è espresso Justin Meram, centravanti degli iracheni che gioca addirittura nel campionato degli Stati Uniti: «Mi auguro che sia una bugia. La nazionale di calcio dell'Iraq è unita contro le violenze di Al Baghdadi».

Si tratta comunque solo dell'ultimo episodio in ordine di tempo, perché per una partita di pallone si gioisce, si esulta e si soffre, ma a Mogadiscio, così come in Iraq, purtroppo, si può anche morire. Tutto per una fatwa redatta dallo sceicco saudita Abdallah Al Najdi nell'agosto del 2005. Nel testo viene spiegato che lo sport non è altro che «un complotto ordito dall'occidente per corrompere gli animi musulmani distraendoli dalla guerra santa. Chi si farà corrompere dai giochi impuri dei sionisti pagherà con la vita». La fatwa viene applicata ormai da dieci anni con tale ferocia, da trasformare semplici appassionati in vere e proprie sette clandestine costrette a radunarsi in catacombe da terzo millennio per sbirciare uno scampolo di gara, con l'accortezza di soffocare qualsiasi emozione.

Il 4 luglio del 2006 una coppia di fidanzati venne trucidata a colpi di kalashnikov alla periferia di Mogadiscio perché si rifiutò di abbandonare un cinema durante la proiezione della semifinale dei mondiali tra Italia e Germania. A tradirli le urla di gioia al gol di Fabio Grosso. Il 3 luglio di quattro anni dopo tre giovani vennero crivellati di colpi, e altri quattro feriti gravemente, all'interno di un cinema del quartiere Madina, a sud di Mogadiscio, che stava trasmettendo clandestinamente l'amichevole degli azzurri contro il Messico. "Sono entrati e hanno aperto il fuoco - raccontò incredulo il gestore della sala Abdirashid Gedi Dhisow - è la quarta volta che accade in poche settimane". La fatwa colpisce qualsiasi sport, ne sanno qualcosa Zamzam Farah e Mohamed Hassan, gli unici due atleti che rappresentarono la Somalia alle Olimpiadi di Londra del 2012. I due velocisti si allenavano, e si allenano tutt'ora, nel vicino Gibuti perché in patria Al Shabaab li ha condannati a morte. Proprio a Mosul la squadra locale di calcio, composta da calciatori cattolici, fu costretta nel novembre del 2010 ad abbandonare il campionato. I jihadisti sono scatenati su tutti i fronti e a qualsiasi latitudine, persino in Norvegia. A Oslo hanno minacciato di morte due calciatori della locale nazionale di calcio, Tarik Elyounoussi e Omar Elabdellaoui. Per via delle loro origini marocchine. Isis li ha invitati a «smettere di difendere la bandiera insanguinata una nazione che bombarda il Califfato islamico».

Tra le tante vicende terribili spunta qualcosa di simile a una speranza.

Ha il volto di Jama Suweys, 24 anni, che nel dicembre scorso è riuscita a fuggire in Kenya. È una giocatrice di basket e poliziotta dell'esercito somalo. Doppiamente colpevole quindi per gli integralisti che lo scorso anno l'avevano violentata, appiccando il fuoco alla sua abitazione a Bosaso, in Somalia.

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