Va in carcere Schettino, il "Capitan codardo" condannato da tutta Italia

La Cassazione ha confermato la sentenza a 16 anni per strage. È già in cella a Rebibbia

Va in carcere Schettino,  il "Capitan codardo" condannato da tutta Italia

Francesco Schettino si «inchina» alla Cassazione. Per il 56enne comandante della Costa Concordia si aprono le porte del carcere di Rebibbia («Busso al carcere e dico sono quì perché credo nella giustizia»). Il naufragio del 13 gennaio 2012 all'Isola del Giglio, in cui persero la vita 32 persone, ha ora un colpevole «definitivo»: lui, «l'ammiraglio», made in Castellammare di Stabia (Napoli) con depandance a Meta di Sorrento. I sui avvocati volano altissimo: «Ci sono state violazioni del diritto di difesa. Dopo le motivazioni valuterò se ricorrere alla Corte Europea». E poi: «Gli italiani hanno sempre bisogno di crocifiggere qualcuno. Schettino sa di essere responsabile, ma non colpevole».

Intanto il pg Francesco Salzano ha ottenuto dalla quarta sezione penale della Suprema Corte, presieduta da Vincenzo Romis, la conferma dei 16 anni di carcere cui Schettino era già stato condannato dalla Corte di appello di Firenze.

Il pronunciamento di ieri della Corte suprema lascia ora gli italiani con la certezza di essere tutti più buoni di lui. Ma proprio tutti, compresi quelli che di buono non hanno nulla. E che però, al cospetto di o' comandante, si considerano come eroi dinanzi al peggiore dei vigliacchi. Schettino, oltre ad aver contribuito in modo decisivo a provocare il naufragio della Costa Concordia, è riuscito nel «miracolo» di mettere d'accordo un Paese diviso su ogni cosa, compreso la più stupida; ma che - eccezionalmente - sulla condanna di Schettino si trova affratellato, come se avessimo appena vinto la finalissima nel Mundial dell'infamia. Una partita decisiva che si è giocata ieri sul campo neutro della Cassazione. Verdetto scontato: Giustizia batte Schettino, 16 a zero. Sedici sono infatti gli anni di carcere che la Suprema corte ha confermato, rendendo quindi immediatamente applicabile la sentenze emanata dalla Corte di Appello di Firenze. Agli italiani piace vincere facile e ieri, contro Capitan codardo, hanno vinto strafacile. Va detto che Schettino ci ha messo tantissimo del suo per avvalorare in patria (e purtroppo anche nel mondo) i peggiori stereotipi anti-italiani tra incapacità, sbruffonaggine e pavidità. Con Schettino «paghi» uno e ti «gusti» un'antologia di «Alberto Sordi»: c'è quello che fa l'«inchino» al potente di turno schiantando la nave sugli scogli; c'è quello che, con la nave che affonda e i passeggeri che annegano, sale sulla scialuppa di salvataggio mettendosi al sicuro; c'è quello che nelle fasi del processo non ammette i propri errori (anzi, si definisce «coraggioso» e «preparato»), cercando di scaricare le colpe sui suoi sottoposti; c'è quello che, mentre le famiglie piangono le vittime, scrive libri, frequenta feste e convegni, imbastisce flirt sentimentali. Non si pretendeva da Schettino gli occhi bassi, ma almeno un profilo basso. Invece no. Schettino Francesco da Meta di Sorrento ha continuato a recitare la parte dell'«offeso», dell'«incompreso», del «perseguitato», della «vittima di un complotto giudiziario»: che poi, si sa, in Italia un «complotto giudiziario» non si nega a nessuno.

Idem per il termine «icona», che Schettino si è guadagnato di diritto sul campo, anzi in mare aperto. Trattasi, per la precisione, di icona linguistica con il mitico salga a bordo, cazzo! urlato via radio dal capitano Del Falco. Con il comandante «Alberto Sordi» prontissimo a rispondere: «Dottò, ma è pericoloso!».

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