Proteggere i negoziati dai «furbetti d'oltre Manica» che vorrebbero uscire dall'Ue senza pagare un solo pound. Mentre invece, alla cassa, potrebbero dover sborsare fino a 60 miliardi di euro. Il vertice straordinario di Bruxelles sulla Brexit (lampo, meno di 3 ore) si è aperto, da un lato, con l'approvazione all'unanimità delle linee guida dell'Ue, come cinguettato dal presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, in attesa delle raccomandazioni sulla direttiva tecnica da varare mercoledì. E dall'altro, con la certezza che qualcuno a Londra si era fatto «delle illusioni», parafrasando il trio Juncker-Merkel-Hollande, a cui si era aggiunta anche la chiusa puntuale del feldminister Schaeuble: «Londra non può avere, dopo la sua uscita, vantaggi che altri Paesi non hanno. Nulla è gratis, i britannici devono saperlo».
Come dire che chi ha imboccato, oggi, una via non pretenda, da domani, di proseguire quel cammino come se nulla fosse. Che vuol dire? In prima istanza dare assicurazioni ai cittadini sui loro diritti: «È la nostra principale priorità», ha aggiunto Tusk con l'assist del premier italiano Paolo Gentiloni secondo cui senza un accordo sui 500mila cittadini che risiedono nel Regno Unito «non possono esserci accordi seri». Londra è di fatto messa con le spalle al muro: il ragionamento avanzato dalla Cancelliera Merkel, alla vigilia del vertice, poggiava sul fatto che un terzo Stato, quale sarà la Gran Bretagna, «non potrà avere gli stessi diritti di uno stato europeo». E il fatto di aver dovuto esprimere «concetti che sembrano scontati» è indicativo di come qualcuno a Londra abbia fatto i conti senza l'oste. Il riferimento è alle discussioni sulle spese del divorzio dall'Ue che dovranno essere fatte in apertura dei negoziati sulla Brexit e non work in progress, come più volte vergato tra le righe nei giorni scorsi dalla Frankfurther Allgemeine Zeitung.
Il capo negoziatore dell'Ue, Michel Barnier e il presidente dell'Europarlamento, Antonio Tajani, sono «pronti ai negoziati» che saranno articolati in due fasi. La prima sarà dedicata ad un accordo sui futuri diritti dei cittadini europei e sugli impegni finanziari del Regno Unito verso Bruxelles. Più complessa la partita per la seconda, quando i Ventisette dovranno materialmente scrivere un futuro accordo di partenariato con i britannici.
E qui i nodi verranno facilmente al pettine, con la maggioranza dei membri Ue che, per la prima volta uniti, premono per bypassare la prima fase e arrivare più rapidamente al quantum. Il timore di un possibile vuoto giuridico nelle relazioni commerciali con il Regno Unito è la ragione delle turbolenze, anche perché Londra fa spallucce e vorrebbe invece ragionare dei vari temi in simultanea (per avere uno sconto?). Schermaglie, dicono alcune fonti di Bruxelles, certi che nascondano il vero vulnus di tutta questa vicenda: il fronte finanziario che sul conto britannico potrebbe pesare fino a 60 miliardi di euro, come confermato da Juncker, mentre Westminster avanza una «stima prudente» di soli 20 miliardi e con la coda rappresentata dall'adesione di Gibilterra alla Ue.
Il governo britannico aveva chiesto formalmente alla fine di marzo il ritiro dalla Ue, oltre alla negoziazione da realizzare nel mese di giugno dopo le elezioni generali annunciate a sorpresa giorni fa da Theresa May. Contraddizioni, le hanno definite ai piani alti della Commissione, che adesso spinge per un risultato formale (sui conti) da ottenere entro il prossimo autunno e così chiudere definitivamente la pratica entro marzo 2019.
La questione è delicatissima, anche perché investe anche due riverberi logistici di non poco conto: l'Agenzia europea per i medicinali (EMA) che Milano vorrebbe scippare a Londra, ma c'è la concorrenza di Amsterdam, Copenaghern, Stoccolma e Dublino, e l'Autorità bancaria europea, sui cui è già molto forte la candidatura di Francoforte. Potere e denaro. Per una volta l'Ue marcia straordinariamente a senso unico. Ed è già una notizia.twitter: @FDepalo
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